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Giornate

Social Network della Madunina

Il messaggio è chiaro: "con ATM si scopa!".
Il messaggio è chiaro: "con ATM si scopa!".

Sono un ragazzo fortunato, perché mi hanno regalato un sogno: incontrare gente a Milano senza dovermi accampare ai Navigli. Dopo un mese e passa di vita pubblica (sui mezzi pubblici) è ora di fare un po’ il resoconto. Ogni giorno vivo appieno nella straordinaria intelaiatura di uno strepitoso social network: attraverso tre portali accetto una valanga di richieste d’amicizia, tranne poi doverle tramutare in minacce di odio sempiterno appena mi ricordo di essere un sociopatico. Ascolto anche un botto di musica, ma purtroppo non pubblico alcun link sulla bacheca considerata la natura “chiusa e iperchiusa” delle cuffie arrivate proprio all’inizio del mese.
E spesso c’è da ridire con chi dovrebbe mantenere in buono stato il servizio, che oltretutto pago, a differenza del finto mondo digitale tutto chiacchiere e distintivo. Andiamo con ordine.

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Giornate Lavoro

Club Tropicalia

Monsole milanese: una realtà.
Monsone milanese: una realtà.

La faccia schifata, contrita, disgustata e allucinata di una signorina per bene quando la metropolitana si ferma a Centrale. Lei, discesa dal cielo sulla sua nuvola di zucchero e attorniata da mille putti canterini, non può sopportare di trovarsi dove si trovi. Di fronte ha un impiegato vestito bene, forse addirittura un dirigente: giacca che stoica sopravvive al vapore umano che sale dal carro merci in cui si è tramutato il vagone, dà le spalle alla Principessina di ‘Sto Cazzo. Non mi sembra emani chissà quale fetore, peraltro cosa assai più che probabile anche quando si parla di giaccati&cravattati omini che in altri tempi furono Yuppies. Invece lei è schifata, con quel suo rifiutare la realtà che mi pone mille domande sull’incapacità di tanta gente di venire a patti con la realtà. E la realtà della Milano da bere di oggi è che si beve l’acqua piovana del monsone che ha investito provincia e capoluogo, tanto che ci metto quaranta minuti di auto da casa a Cologno, dieci minuti di attesa della metrò di cui sopra e poi un viaggio che, nonostante le bellezza di “Terra” (S. Benni) e “Tearjerker” (Red Hot Chili Peppers), tende a diventare fastidioso. Soprattutto perché a un certo punto non c’è più spazio per tenere aperto il libro e quindi mi tocca divagare e studiare la fauna, con particolare attenzione per quella che, incurante delle più normali leggi volumetriche e della compenetrazione dei corpi (al di fuori della filmografia pornografica), continua a spingere ossessivamente per trasportarsi dalla banchina al macello interno della carrozza.

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