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Zeros – 2004: To the 5 Boroughs (Beastie Boys)

To the 5 Boroughs (2004 - Beastie Boys)
To the 5 Boroughs (2004 - Beastie Boys)

Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post. Per le puntate precedenti, cliccare qui.

Due dischi in oltre dieci anni: questo l’inquietante e lievemente deprimente record dei Beastie Boys. Da “Hello Nasty” (1998) all’imminente (si spera) “Hot Sauce Commitee Part 1” saranno ben dodici le primavere appassite, con il solo “To the 5 Boroughs” (2004) a spezzare il digiuno, continuato a prescindere dal divertente esperimento strumentale di “The Mixed Up” (2007). Poca roba. Ma se la quantità va di pari passo con la qualità, si può quasi far finta di nulla.

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Zeros – 2003: Her Majesty (The Decemberists)

Her Majesty (The Decemberists - 2003)
Her Majesty (The Decemberists - 2003)

Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post. Per le puntate precedenti, cliccare qui.

Esiste la musica in costume e non è quella dei Kiss. Direttamente da Portland (OR), i Decemberists atterranno nel 2003 con il secondo LP di una carriera a quel punto già splendidamente avviata verso un futuro di nicchie dorate, destino promosso da “Castaways & Cutouts” appena un paio d’anni prima.
“Her Majesty” è uno di quegli album talmente arguti che anche il titolo andrebbe letto a modo suo: “Her Majesty, the Decemberists”. I 53 minuti e gli undici pezzi sono sufficientemente tematici da poter parlare a buon titolo di un album in costume. Sono le divise da guerra civile o quelle dei soldatini spazzatura della fanteria da prima guerra mondiale, con cui il rubicondo Colin Meloy (leader spiritual-propagandistico del gruppo) si presenta spesso e volentieri per le sessioni di foto ufficiali.

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Zeros – 2002: Songs for the Deaf (QOTSA)

Songs for the Deaf (Queens of the Stone Age - 2002)
Songs for the Deaf (Queens of the Stone Age - 2002)

Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post.

Ancora qui con la storia del terzo disco, quello della conferma. Intramontabile almeno tanto quanto noiosa. Josh Homme e Nick Olivieri, però, devono averla presa sul serio attorno al 2001, quando si mettono al lavoro su “Songs for the Deaf”, terza impresa discografica del gruppo che ha debuttato solo pochi anni prima (1998) e ha già infilato un paio di “hit” con il precedente “R”. 
E se disco della conferma dev’essere, che sia. Anzi, già che ci siamo mettiamo assieme anche il miglior album che mai porterà il marchio Queens of the Stone Age. La stampa statunitense ha già le antenne drizzate, tra questo e il nuovo dei White Stripes, pare che sia tornato il momento per il “vero” rock’n rock di alzare lo sguardo e smetterla di vergognarsi. Qualcuno giura addirittura di sentir partire dei vaffanculo degni di nota durante i circa 60 minuti del disco con la “Q” spermatozooata.

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Zeros – 2001: Discovery (Daft Punk)

Discovery (Daft Punk - 2001)
Discovery (Daft Punk - 2001)

Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post.

Gli anni del liceo (o della scuola superiore, in senso più largo), sono importanti. Quando non cerchi di prendere una strada e calarti dentro un costume per gli altri, lo fai almeno per te stesso. Insomma: si prendono delle decisioni, si fanno delle scelte, bisognavano. E quindi se decidi di essere rock, molto rock, come l’atmosfera dell’epoca permetteva ancora, oltretutto, allora poi è un po’ casino far finta di accorgersi che ci sia anche altro. Fortunatamente per me, non ho mai avuto sufficiente stima delle mie convinzioni per non ritenerle ampiamente modificabili cinque minuti dopo la formulazione. Insomma: va bene la nascita musicale a botte di Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Cure e quant’altro. Ma quella roba lì elettronica ce la fa, ce la fa per davvero.

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Zeros – 2000: Kid A (Radiohead)

Gli anni zero, che vanno a chiudersi, hanno regalato momenti imperdibili di grande musica. Anni che né la Summer of Love né il beat anni sessanta o il carrozzone tra hard e prog dei settanta avrebbe potuto immaginare. Episodi di vera e propria infinita e irripetibile arte cristallina. Da ripercorrere coi dieci dischi, uno per anno dal 2000 al 2009, presentati in una lussuriosa serie di post. Il primo, imprevedibilmente, è questo. E parla del disco del 2000.*

Kid A (Radiohead - 2000)
Kid A (Radiohead - 2000)

Non c’è niente che sia al proprio giusto posto in “Kid A”. Arrivi a casa e scopri che non esiste alcun libretto in senso stretto del termine, prima di ritrovarlo dietro il supporto per il CD. Evidentemente non al suo posto. E una volta che il disco è nel lettore scopri con orrore che a Yorke e Greenwood è definitivamente esplosa la testa: infilati gli strumenti in una sorta di cubo di Rubik interdimensionale, hanno girato più o meno a cazzo di cane un po’ di blocchi fino a scompigliare tutte le perfette facciate. Non si capisce più nulla, magari per mesi, forse solo per qualche ora, più probabilmente per dei giorni. Quelli, fatti di ascolti ininterrotti, che servono perché un singolo suono, imprevedibilmente e senza apparente motivo, rimbalzi di spigolo sulla corteccia cerebrale. Lì rimane ficcato per circa dieci anni, aprendo la strada alla comprensione dell’amore. L’amore fatto di pareti che si sciolgono del disco che manda in frantumi i Radiohead per le radio e li innalza fino all’Olimpo degli intoccabili per i super snob e chi ha maturato una vicinanza di gusti e di sensi con il gruppo di Oxford. Sta di fatto che “OK Computer” viene preso a badilate e “The Bends” smembrato pezzo per pezzo e infilato in un congelatore. Entrambe le identità precedenti sopravviveranno, per tornare a infilare il piede nella porta degli studi di registrazioni negli episodi discografici successivi, ma nel 2000 è solo, sempre e comunque “Kid A”. Il manifesto della volontà dei Radiohead di fare esattamente sempre e solo quel che gli gira di fare. Qualcuno, ad anni di distanza, inizia a farsi puzzare un po’ il naso, sostenendo che, dopotutto, roba come questa l’avevano già fatta in tanti. E sarà anche vero. Sarà anche vero che ci sono stati pittori dell’elettronica sotto-ritmo, della deviazione strumentale e dell’esplorazione di campagne lisergiche… ma non erano i Radiohead. Non erano i Radiohead che questa insalata di beat e distorsioni tra l’allucinato, l’onirico e il disperato le sparano in faccia ai milioni di fan e ai migliaia di giornalisti che speravano di aver trovato i loro nuovi U2. Se così fosse, “Kid A” è il loro “Achtung Baby”: il suono di quattro uomini che abbattono con un accetta il loro passato. Alfieri della schitarrata un po’ pop e un po’ arterio sclerotica tra “Pablo Honey” e “OK Computer”, Yorke e Greenwood praticamente annullano i riff comunemente concepiti. Paladini della canzone da adolescente sfigato col ritornello da mugugnare di fronte alla Smemo aperta (“Creep”), il gruppo rinnega pressoché totalmente la tanto chiacchierata “forma canzone”, tanto da far gridare al miracolo quando si sente qualcosa di immediatamente comprensibile in “Optimistic”. Portavoce di alcuni strepitosi videoclip a cavallo tra “Just”, “Street Spirit [Fade Out]”, “Paranoid Android” e “No Surprises”, per “Kid A” si affidano a semplici episodi di una serie di visualizzazioni dalla pretesa artistica e quindi totalmente invendibili su MTV (non che fosse previsto alcun tentativo, comunque). Quel che rimane, consegnato agli annali, è una lunga e dilaniata disquisizione sonora sul volgere del secolo. Una nenia tribale da impasticcati tristi o fattoni con le allucinazioni. Sempre il buon Johnny (Greenwood), intervistato, dirà che per il disco tutti hanno dovuto imparare nuovamente a suonare. Per il miglior album del 2000 si può anche fare.

Gli altri classificati:
Un’ottima annata quella che ha tenuto a battesimo il 21° secolo. Nel gruppo misto che, per non far torto a nessuno, si posiziona parimenti dietro i vincitori si riconoscono chiaramente: The Smashing Pumpkins (“Machina: the machines of God/Machina II: friends and enemies of modern music”), Baustelle (“Sussidiario Illustrato della Giovinezza”), Subsonica (“Microchip Emozionale”), Coldplay (“Parachutes”), Queens of the Stone Age (“Rated R”) e The White Stripes (“De Stijl”).

"Non possiamo farlo, ho appena comprato una piscina a rate"
"Non possiamo farlo, ho appena comprato una piscina a rate"

* non è vero eh, gli anni 2000-2009 sono stati una mezza chiavica. Soprattutto dopo essersi sparati la prima metà degli anni ’90 (almeno, a voler fare gli stitici). Lì sì che non si scherzava.

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