Categorie
Playlist

Demon’s Souls + Cyr

L’alba della nuova generazione passa per un crepuscolo infinito.

Quando è morto Maradona, stavo trafficando tra i tunnel di Stonefang. Infilzavo i corpi depressi dei minatori, nei minuti in cui tra Twitter e i canali all news iniziava a circolare la notizia, di quelle notizie che poi ti ricordi dov’eri quando ti è arrivata. Tutto quel periodo, tra dicembre 2020 e gennaio 2021, è stato vissuto in costante devozione di Demon’s Souls, con qualche rara concessione ad altri giochi che sapessero cavare fuori qualcosa di utile da Xbox Series X e PlayStation 5. Perché, insomma, era il loro momento.

Demon’s Souls, nel senso del remaster di ultimissima generazione, è stato il mio biglietto d’ingresso nel mondo dei souls (nemmeno “like”, proprio loro, esattamente i “souls”). C’erano stati degli abboccamenti fin da Dark Souls II, ancora con Dark Souls III e Bloodborne, ma era sempre tutto finito nel giro di pochi giorni, qualche sessione, tante bastonate sui denti. Non erano le bastonate, il problema: non ho mai trovato le avventure di From Software irritanti, nella loro rigidezza. Con Demon’s Souls mi sarei fatto un’idea più precisa della cosa, ma in linea generale la frustrazione è un sentimento che non mi ha mai accompagnato in quei viaggi, per quanto brevi.

Per promuovere Cyr, gli Smashing Pumpkins hanno realizzato un cortometraggio (?) animato suddiviso in cinque episodi, con una canzone per episodio. Per “Purple Blood” si riprende, in qualche misura, lo stile di “Eye” e, lontanamente, “Saturnine”, pezzi per appassionati delle zucche di fine anni ’90.

E un viaggio non è un viaggio senza una colonna sonora d’accompagnamento. Negli stessi giorni in cui PlayStation 5 non arrivava nei negozi, si (s)materializzava anche Cyr, il primo doppio album degli Smashing Pumpkins dai tempi di Mellon Collie & The Infinite Sadness. In comune, i due dischi, hanno una parte significativa degli autori e “attori”, ma anche l’approccio, riassumibile in qualcosa tipo: “facciamo un po’ come cazzo ci pare”. Da una parte si finiva per mettere assieme suggestioni di inizio novecento e rock brutale, pezzi in costante evoluzione da quasi dieci minuti e singoloni ancora pienamente collegati ai loro anni ’90 (Mellon Collie & The Infinite Sadness). Dall’altra si ripescava un gusto per un’elettronica quasi âgé, raramente graffiata da chitarre elettriche utilizzate e registrate come da manuale d’istruzioni, con ripetuti episodi a un passo dallo stucchevole, tra la new wave che è comunque nelle origini della band di Chicago e non troppo altro (Cyr).

Demon’s Souls e Cyr si sono ritrovati per mia scelta, nonostante non avessi alcuna intenzione di farli incontrare, in un primo momento. All’ennesimo tentativo di oltrepassare un passaggio che mi pareva elementare, ho lanciato la app di Spotify e fatto partire il disco, continuando a giocare. Mi sono detto che zittire la colonna sonora originale, che già mi aveva intonacato le orecchie per delle mezz’ore, in maniera incolpevolmente ripetitiva, non avrebbe costituito un peccato, nemmeno agli occhi di un giocatore rompipalle ed esigente quale mi (s)fregio di essere. Ha funzionato, in maniera spettacolare.

L’illustrazione di copertina di Cyr segue in maniera rigorosa quella di Shiny and Oh So Bright!, il non-proprio-album del 2018 degli Smashing Pumpkins. Poteva andare molto meglio.

Mentre mi aggiravo per i corridoi umidi e pericolanti della Torre di Atria, Billy Corgan si metteva in piedi sul suo infinito sintetizzatore e cantava del senso della vita su un palco, tornando finalmente ad affidarsi al buon gusto delle chitarre di James Iha, dopo troppo tempo (Adrennalynne). Quando un affare dal muso tentacolare, che da ignorante in materia avrei avvicinato al culto di Cthulhu, mi rispediva al salvataggio precedente, la batteria scomposta e ricomposta di The Colour of Love riapriva al secondo giro consecutivo del disco.

Sono andato avanti così per giorni e per settimane. Il tono decadente ma colorato, misterioso ma romantico di Cyr e di Demon’s Souls era ed è lo stesso. Entrambi erano e sono fuori tempo in maniera simile e similmente convincente. Tutti e due sono profondamente radicati nel passato, pur facendosi forza su risorse e modi di fare di oggi. Sono tornato a percorrere quel maledetto tritacarne del tunnel iniziale di Stonefang, mentre mi riparavo dietro i tuoni di Purple Blood, ho preso la mira da distanza per ridurre in frantumi gli scheletri arcieri nella Cripta delle Tempeste, spostandomi al ritmo di Telegenix. La coerenza tematica dell’album si è adagiata perfettamente a quella del gioco.

Difficile fingere che, anche tecnicamente, Demon’s Souls (2020) sia degno di rappresentare la nuova generazione. Ma il livello di dettaglio e alcuni giochi di illuminazione sono comunque di livello.

Quando attraversavo la Valle della corruzione, con la morte fino alle ginocchia, sentivo rintoccare l’eco di Confessions of a Dopamine Addict, con quel miscuglio di speranza e disillusione dato da una e dall’altra. Demon’s Souls e Cyr, nonostante i pochi e rari raggi di sole del primo, vivono in un costante crepuscolo, nell’allungarsi delle ombre e nella certezza che la notte stia per prenderti. Messi uno dentro l’altro, si danno ulteriore forza e a un anno dalla fine del mio viaggio (portato fino ai titoli di coda), ho ancora qualche brivido nel ripensare alle ore rubate al sonno, per continuare a vagare come un’anima persa in Haunted.

3 risposte su “Demon’s Souls + Cyr”

Mi sono commosso. L’ultima volta che ho letto un tuo articolo in cui mettevi insieme gli Smash Punkers e i giochini andavo alle medie e con quello scoprivo Mellon Collie e quella roba mi ha cambiato la vita e mi hai accompagnato al concerto ecc ecc… Tutte ste cose già le sai, anche basta. Anche allora ste letture le facevo di notte invece di dormire: le cose non cambiano, in fondo, e tu per certe cose sei sempre il migliore (al contrario di Cyr). (Domani mi riapro un blog)

Ti ringrazio per le belle parole, misterioso ospite (no, OK, scherzo). Comunque Cyr è il disco più sensato e interessante che abbiano fatto post-periodo classico (dal 2007 a oggi, insomma). Capisco che la concorrenza di Oceania e Monuments to an Elegy non fosse agguerritissima, ma è un disco con un’idea e con una personalità. A me piace abbastanza/quasi molto.

OSPITE?!?

Non so, boh, io preferisco i synth di Oceania perché, avendo 52 anni, mi piace il progressive – ma ti capisco eh. Però solo un po’.

Rispondi