La faccia schifata, contrita, disgustata e allucinata di una signorina per bene quando la metropolitana si ferma a Centrale. Lei, discesa dal cielo sulla sua nuvola di zucchero e attorniata da mille putti canterini, non può sopportare di trovarsi dove si trovi. Di fronte ha un impiegato vestito bene, forse addirittura un dirigente: giacca che stoica sopravvive al vapore umano che sale dal carro merci in cui si è tramutato il vagone, dà le spalle alla Principessina di ‘Sto Cazzo. Non mi sembra emani chissà quale fetore, peraltro cosa assai più che probabile anche quando si parla di giaccati&cravattati omini che in altri tempi furono Yuppies. Invece lei è schifata, con quel suo rifiutare la realtà che mi pone mille domande sull’incapacità di tanta gente di venire a patti con la realtà. E la realtà della Milano da bere di oggi è che si beve l’acqua piovana del monsone che ha investito provincia e capoluogo, tanto che ci metto quaranta minuti di auto da casa a Cologno, dieci minuti di attesa della metrò di cui sopra e poi un viaggio che, nonostante le bellezza di “Terra” (S. Benni) e “Tearjerker” (Red Hot Chili Peppers), tende a diventare fastidioso. Soprattutto perché a un certo punto non c’è più spazio per tenere aperto il libro e quindi mi tocca divagare e studiare la fauna, con particolare attenzione per quella che, incurante delle più normali leggi volumetriche e della compenetrazione dei corpi (al di fuori della filmografia pornografica), continua a spingere ossessivamente per trasportarsi dalla banchina al macello interno della carrozza.
Si potrebbero aspettare due, tre, cinque, forse addirittura dieci minuti. Facendo passare uno, due, tre, forse addirittura quattro treni, in attesa di una situazione meno oscena. Si potrebbe… ma non si fa, quindi è mucchio di pecore che belano, qualcuno che riesce a gridare allo scandalo a corte per un piede pestato (lo considera un affronto?) e scazzo nevrotico un po’ in ogni dove. Il panorama non cambia nemmeno nella bella periferia estrema corrispondente alla fermata di Famagosta: la stazione degli autobus legata a quella della metropolitana è intasata di auto. La corrente di pensiero minorata-furbistica tutta italiana ha consigliato a tanti di infilarsi qua sotto per tagliare un pezzo di strada. Perché loro, e solo loro, sono troppo avanti-indietro, così stiamo tutti fermi. Il conducente del 320 (dovevo prendere il 328 per Rozzano, ma ho buone speranze che anche il 320 porti alla riviera di Milanofiori) però non ci sta: è napoletano e incazzato. E i napoletani incazzati sono duri da fermare: chiede permesso, ché deve uscire dallo sgabbiotto sua unica salvezza di fronte alla massa, per aprire il cofano e dare un’occhiata. Sono momenti di panico, di occhi atterriti e anche di ennesimi ruzzoloni di chi deve, anche qui!, entrare per forza di cose nell’autobus. Anche se no, non c’è spazio. No, è impossibile crearne di nuovo senza sacrificare al dio dei trasporti-sotto-la-pioggia almeno un paio di agnellini con l’ombrellino gocciolante in fondo al bus. Ma fa nulla, spingono ed entrano: poi ci sarebbe da risolvere quella questione, quella per cui ora servirebbe un passaggio che possa riportare nella sua cella di comando il pilota, altrimenti stiamo tutti qua… ma per una manciata di secondi c’è addirittura chi fa finta di nulla. Non cederà per niente al mondo il suo posto! Nemmeno all’autista…
Il 320 in effetti arriva a Milanofiori, così come continua ad arrivare la pioggia torrenziale che mi regala tanta gioia Cure, un sacco di amore Mellon Collie, degli affascinanti riverberi da Red Hot amareggiati, ma anche quaranta minuti di ritardo. Questa nuova faccenda del cartellino ha già un po’ scassato. Anche perché, una volta al quarto piano dell’edificio F9, scopro che voilà! Manca la rete!
Club Tropicalia
La faccia schifata, contrita, disgustata e allucinata di una signorina per bene quando la metropolitana si ferma a Centrale. Lei, discesa dal cielo sulla sua nuvola di zucchero e attorniata da mille putti canterini, non può sopportare di trovarsi dove si trovi. Di fronte ha un impiegato vestito bene, forse addirittura un dirigente: giacca che stoica sopravvive al vapore umano che sale dal carro merci in cui si è tramutato il vagone, dà le spalle alla Principessina di ‘Sto Cazzo. [continua sul blogghe – clicca su “Mostra post originale”]
2 risposte su “Club Tropicalia”
pre-uscita di casa:
dalle 5 del mattino giro per casa a chiudere e richiudere finestre, tirare su tende, tirare giù tapparelle…
ora:
è mezzogiorno…
miii sono già stanca…
Io ho il gatto che si è infeltrito. Ha i pallocchietti.