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Videogiochi

Arcade perfect: il mio coin-op

Come è comparso un coin-op in casa mia (e quanto ci è voluto).

Il “bar dei comunisti” era un posto vecchio e sgraziato, sull’angolo dell’arteria principale di un paesino di provincia, quello in cui sono cresciuto. Erano gli altri a chiamarlo “dei comunisti” e nemmeno “bar”, a ripensarci: “Dove si va? Dai comunisti?”. A Vimodrone, in quegli anni, c’era la Democrazia Cristiana e credo ci fosse un po’ ovunque. Quello dei comunisti era un circolo, un grosso salone con tanti tavoli, un lungo bancale, età media degli avventori oltre i cinquant’anni: insomma, ripensandoci immagino che fosse un classico dopolavoro, un esercizio basato su una location tutt’altro che esclusiva e con una sola mission, servire bicchieri di vino bianco e poco altro.

Nella grande sala, ad accompagnare su due lati i tavolini, il bancone e il fumo delle sigarette, c’erano anche due file di videogiochi, almeno negli anni ottanta e in parte dei novanta. Saranno stati circa otto cabinati ed è qui che ho stretto il rapporto più intimo con uno di quei cassoni. Era l’ultimo sulla fila di sinistra, entrando e fissando il bancone. Era quello di Super Bubble Bobble, l’edizione distribuita da Sega e con cinquanta livelli in più (aggiuntina post-rilettura e controllo: non sono più sicuro di nulla rispetto a quanto detto della versione e di Sega e dei livelli). Sto andando a memoria e dopo circa trent’anni non è che abbia tutte queste sicurezze, quindi potrei aver confuso le versioni del gioco di Bub e Bob. Comunque sia: Bubble Bobble permetteva di inserire un paio di sequenze con joystick e pulsanti, così da attivare dei bonus fin dall’inizio della partita. Per riuscirci, era necessario spegnere e riaccendere l’intero mobile e il gioco. Non ricordo che i gestori se ne siano mai avuti a male e nemmeno che noi si stesse più di tanto attenti nel farlo, per evitare di essere beccati. Considerate le dimensioni medie del gruppo di gioco (tra i dieci e i quattordici anni, suppergiù), per raggiungere l’interruttore in alto e sulla schiena del cabinato, toccava abbracciarselo tutto. Ed ecco qui il rapporto intimo.

Ai tempi credo che nessuno si sognasse per davvero di avere uno di quei bestioni in casa. Certo, comparivano in qualche telefilm, quello col bambino insopportabile e ricco, tipo, ma la mia sensazione è che fosse proprio una faccenda da Hollywood e niente più. Non c’erano possibilità concrete e dopotutto lo sosteneva anche la pubblicità di Final Fight per Super Nintendo, quella sulle riviste americane: lì una squadretta di colleghi coetanei provava a portarsi a casa il coin-op di Capcom, ma lo slogan gli ricordava che c’era un altro modo, più comodo ed economico, per fare amore lungo-lungo con Guy, Cody e Haggar. Le conversioni per i sistemi da casa, in effetti, venivano qualche volta accompagnate dall’inequivocabile valutazione di “arcade perfect”, uguali identici alla sala giochi/bar. Che poi non era vero mai e se lo era si parlava di Neo Geo e non di conversione. Però, ecco, il concetto di “come in sala” esisteva e aveva un senso e una dignità altissima.

Poco meno di tre anni fa uno dei due co-fondatori e titolari dell’impresa Kenobisboch, mi ha informato dell’esistenza di un cassone disponibile a prezzo particolarmente interessante. Era talmente interessante, che mi ha convinto e anche se al momento non avessi idea di dove metterlo, ho fatto il passo di molto più lungo della gamba e l’ho preso. Se ci ripenso adesso mi sembra una cavolata e forse lo era davvero. Però stavamo per cambiare casa e immagino di aver avuto qualche mezza certezza sulla possibilità di trovargli posto in quella nuova. Ma davvero… se provo a riavvolgere tutto quello che è successo, mi pare più probabile l’ipotesi che sia andata così: “lo prendo, ci provo, poi tanto non ci riesco e lo rivendo”. Non che sia un maestro nell’arte del commercio di seconda mano, anzi.

Oggi, di fronte alla mia scrivania, nell’angolo in alto a destra rispetto alla visuale nel momento in cui scrivo, c’è questo cabinato, perfettamente funzionante. E non ho avvocati divorzisti che mi tampinino, oltretutto (grazie, LusyLou). Non è stato particolarmente semplice e non per nulla ci sono voluti più di due anni e mezzo per arrivare alla situazione attuale, cioè ad averlo lì che funziona, in piena forma. Se ne è rimasto nel box del suddetto titolare fino alla fine della primavera passata (e anche qui tocca ringraziare qualcuno, questa volta la Signora M.), poi finalmente è iniziata la fase di recupero. Ed è andata un po’ meno bene del previsto.

“È giusto così, è la storia del tuo cabinato”, diceva Kenobit mentre se ne andava da casa mia, la sera in cui abbiamo trasportato il bestio su per alcune rampe di scale, aiutati da un’altra eminenza grigia nell’ambito degli affari a monete da tenersi in casa o nelle vicinanze. Era cominciato tutto il giorno prima: dobbiamo spostarlo da quel box a questa stanza e da lì a qui le cose vanno via abbastanza lisce. Poi, però, ci si blocca dopo due sole scale: non riusciamo a far girare il coso, siamo solo in due, il palazzo è vecchio e le rampe strette. Viene l’idea di smontare il monitor, così da togliere buona parte del peso e riuscire ad alzare il mobile al di sopra dell’altezza dello scorrimano, evitando il collo di bottiglia, per così dire. La fase di smontaggio del monitor è il primo scoglio e infatti rimaniamo belli incagliati: dopo qualche tira e molla e spingi e soffia e pensa al signore, il monitor si incaglia e non si muove più di lì. Una telefonata con un primo laureato in cabinologia, colpevolmente fatta dopo e non prima, ci chiarisce l’errore nel procedimento, ma intanto il danno è fatto. Rimane lì, a fianco delle scale, né su e né giù.

Passano solo ventiquattr’ore e, questa volta in tre e con l’altro chirurgo/uomo di fatica, già semi-citato, decidiamo di lasciare il monitor dov’è e di portare su il mobile tutto intero, senza girarlo. Ce la facciamo, o quasi. A pochi scalini dall’arrivo, un rumore acuto e impossibile da definire con più precisione, accompagna le nostre ernie che iniziano a esplodere. Il Dott. MV, quando siamo ancora lì che sudiamo come si suda a portare sulle spalle un coso simile a luglio, chiarisce in maniera laconica: “questo era il tubo catodico che si rompeva”. Il monitor era ed è il pezzo più importante di un cassone per videogiochi da bar/sala e quello di questo cassone andava piuttosto bene. Il fatto che sia saltato, in maniera oltretutto irrecuperabile, non è che sia esattamente una buona notizia. Io, però, ero convinto che manco saremmo riusciti a portarlo fino alla porta di casa mia, quindi mi pareva comunque un passo in avanti.

Kenobit se ne va lasciandomi con quelle parole, dopo che il coin-op è stato piazzato all’ingresso di casa, girato, aperto e si è proceduto con l’autopsia (il Dott. MV aveva ragione). Anche in questo caso è stata colpa nostra: nello staccare il monitor per provare a estrarlo, un giorno prima, avevamo anche scollegato la scheda elettronica, che poi è scivolata nello spostamento e ha “tirato” il collo del tubo catodico, strozzandolo/spezzandosi. Sono stato comunque rassicurato sul fatto che tutto sarebbe stato risolto, in qualche modo.

Dopo un paio di settimane, entra in gioco il primo tecnico (GT), quello che ci aveva spiegato al telefono come avremmo dovuto estrarre il monitor. Lui e suo cugino, nel tempo libero, si dilettano con i cabinati: li trovano, li rimettono a posto, ci si divertono parecchio. Ancor prima che con i giochi dentro ai cabinati, si divertono proprio con i mobili, con le schede, con i monitor. E a proposito di monitor, sono loro ad avermene trovato uno nuovo, da qualche parte in Emilia Romagna. Mi fa sapere che sono pronti a portarmelo e a montarlo. Succede tutto in un’altra sera di estate profonda e di caldo appiccicoso. In un mezzo pomeriggio e un pezzo di serata riescono a fare tutto: tirano fuori quel che resta del monitor scoppiato, piantano dentro quello “nuovo”, adattano i vari collegamenti elettrici, rifanno addirittura un pezzo di mobile per poter fermare l’elettronica del monitor, differente per forma e dimensioni da quella originale e poi… poi, finalmente, si accende.

È la prima volta che lo vedo accendersi, dopo averlo visto in azione per qualche minuto prima dell’acquisto. Dentro la “console” Neo Geo c’è Metal Slug 2 e si procede con la fase di calibrazione: spostamento e forma dell’immagine, ma anche messa a fuoco e interventi su contrasto e luminosità. Siamo lì in tre a guardare ogni pixel e nessuno si sente messo peggio dell’altro, il che è sia logico che preoccupante. La passione per la forma d’arte squadrata del pixel, ti porta a essere esigente e scassacazzo e chi ne è affetto sa riconoscere e rispettare la malattia in un suo simile. Il risultato finale è comunque apprezzabilissimo e, quindi, esaltante. Da quella sera, una larga fetta abbondante di pizza al trancio più tardi, inizio a giocare con il mio coin-op.

Manca ancora qualcosa però. OK, l’audio funziona, ma il marquee è del tutto assente e c’è un vero e proprio buco nella parte superiore. Nelle settimane successive GT mi ristampa su plastica la grafica del marquee del cabinato, che è un Rit Legno pensato appositamente per ospitare un Neo Geo MVS. Inseriamo anche una lampada al neon per retro-illuminarlo, sperando che l’attacco della luce funzioni. Funziona! La grafica del marquee prevedeva anche due spazi per inserire, in un’apposita struttura in legno posta dietro al marquee stesso, due schede di plastica con le indicazioni principali per i videogiochi inseriti nel cabinato. Nel mio, in realtà, c’è solo un gioco e fin dal primo giorno, tolto Metal Slug 2 dopo le calibrazioni, si è trattato di Fatal Fury 2. Perché Fatal Fury 2 era nella top 10 dei giochi che avrei voluto avere a casa, anche quando sognavo semplicemente un Neo Geo, senza un mobile attorno. A un certo punto ho comprato Fatal Fury Special per Super Famicom (credo fosse il gennaio del 1995) ed è anche andato benone, ma insomma… era un’altra cosa.

Comunque, in questo coin-op c’è un solo gioco, ma comunque due spazi per due schedine illustrative. Kenobit ne ha alcune in eccesso a casa sua. Succede, no? Succede di avere del materiale promozionale/tecnico d’avanzo, per videogiochi da bar di trent’anni prima. Non c’è la scheda di Fatal Fury 2, ma vanno benone quella di Art of Fighting e di Super Sidekicks. Ecco, ora abbiamo davvero fatto, è tutto: il cabinato è pronto. Nel frattempo avevo anche recuperato due serrature per chiudere gli sportelli del meccanismo per le monete e dietro cui si trova la vaschetta che le raccoglie tutte, quelle monete (anzi, gettoni, sono gettoni). Quindi non manca proprio nulla.

GT mi ha scritto ieri chiedendomi come vadano le cose, se c’è ancora quel problemino sui bianchi che si bruciano e che ha già in larghissima parte risolto intervenendo, circa due settimane fa, sul contrasto. Dice che ha una schedina per giocare coi trimmer e che verrebbe a spippolare un po’ allegramente. Immagino che sia questa la vita di un coin-op nel 2021, alcuni decenni dopo l’ideale pensionamento. Ora, però, rimane la mia di mission: finire Fatal Fury 2 con un credito, a livello di difficoltà 4. No, non ci sti riuscendo manco per sbaglio, ma almeno ho smesso di pagare i gettoni.

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