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Virtua Racing + Get a Grip

L’ultimo guizzo degli Aerosmith e del MegaDrive, in un periodo di poderosi tradimenti.

Non ascoltavo Get a Grip da chissà quanto e mi accorgo solo ora di quanto fossero paraculi gli Aerosmith. Aprono con un mezzo rap di Tyler, ripescano addirittura il riff della loro Walk This Way, che con il pianeta hip hop aveva collassato con successo, ai tempi della rilancio firmato Run DMC (1986). Solo un’introduzione a Eat the Rich, pezzo molto più classicamente Aerosmith, pur se arrotondato da una produzione più confortante e nineties, per una band che nasceva sul solco dei Led Zeppelin negli anni ’70.

Get a Grip è l’album che serve a consolidare l’ormai conclamato rilancio della band, già ampiamente certificato dalla doppietta Permanent Vacation (1987) e Pump (1989). Io, di tutto questo, all’epoca non so nulla. Ho visto “passare” il nome Aerosmith, apprezzandone principalmente il suono (del solo nome), ma fermandomi lì. E dopotutto non è che uno, in quel tempo e mondo, avesse troppi modi per procurarsi musica di gente che non conosceva: il noleggio era una pratica rara, complessa e costosa e i soldi messi da parte li si usava per dischi “sicuri” (leggasi: con singoli degni di nota intercettati qua e là). Oppure toccava avere qualcuno che facesse da ponte, un amico con una cassetta da passare.

Livin’ On The Edge è il singolo di lancio di Get A Grip. Il giro di chitarra iniziale lascia presagire cose più interessanti e al passo coi tempi, alla fine è una ballatona innocua. Non c’è nemmeno Alicia Silverstone barely legal, quella compare in Cryin’ e poi nei video successivi.

Nel 1994 l’amico con la cassetta degli Aerosmith l’ho trovato e non l’ho nemmeno presa bene. Quell’amico, appena cinque minuti prima, era un fedele membro della chiesa dei Guns n’ Roses, come tutti all’apparenza. I Guns n’ Roses sono stati la prima band a cui mi sia affezionato, perché l’iconografia funzionava, perché su Videomusic girava quello, per svariati altri motivi scemi o meno scemi. Poi, un pomeriggio, questo se ne esce con una frase degna di una qualsiasi commedia hollywoodiana: “i Guns n’ Roses sono finiti, ora ascolto gli Aerosmith, me li ha passati mio fratello”. Ci sono rimasto un po’ male, ero ancora piuttosto impegnato nella diffusione del verbo dei Guns n’ Roses, ma in effetti The Spaghetti Incident l’avevo ascoltato due volte a stare larghi.

Di questo passaggio/tradimento si era discusso in un pomeriggio di tarda primavera, anche se c’era stato poco di che discutere: lui aveva annunciato la faccenda come se parlasse della morte di una celebrità. Ormai era successo, non ci si poteva più fare nulla. Il pomeriggio di tarda primavera aveva avuto un altro protagonista assoluto. Confezione insolitamente grigia, cartucciona allungata, aspettative impossibili da rispettare eppure, in qualche modo rispettate: l’edizione giapponese di Virtua Racing per MegaDrive.

All’apice del periodo “non vogliamo smettere di vendervi il MegaDrive”, Sega azzecca la mossa Virtua Racing. Il successo dell’operazione si deve in larga parte alla tecnologia extra inserita nella cartuccia, che permette alla console di riuscire a venire a patti con una versione tutto sommato credibile del mostro conosciuto in sala giochi.
Uno degli spot televisivi di Virtua Racing per MegaDrive (Giappone).

In sala giochi c’era Daytona USA, va bene, ma quella era fantascienza purissima. Per un paio d’anni c’era stato Virtua Racing e attorno all’immenso cabinato da quattro postazioni si girava per interi pomeriggi, il sabato. L’idea di averlo a casa, sulla console di sempre, pur in un momento in cui si veniva piacevolmente assillati dal conto alla rovescia per i 32 bit in arrivo in Giappone, era un mezzo sogno fatto realtà. Quel Virtua Racing lo aveva lui, non io, ma ce lo siamo giocati assieme e me lo deve pure aver prestato qualche volta. Nel 1994, come detto, Virtua Racing mi piaceva, perché era comunque avveniristico e potente. Non avevo però idea che, quasi trent’anni dopo, mi sarebbe piaciuto ancora di più, perché capace di cristallizzarsi nel tempo grazie alla “filosofia” de-texturizzata.

La sofisticata copertina di Get A Grip degli Aerosmith.

Se il gioco di Am2 aveva spopolato in sala ed era una chimera realizzata (si può?) su MegaDrive, gli Aerosmith, a ben pensarci, avevano già iniziato a trapanarmi il cervello con i video di Livin’ on the Edge e Amazing. Sia perché suonavano bene, sia perché avevano un cast particolarmente interessante per un quattordicenne. Ma la cosa della gente di Tyler e Perry era cresciuta così velocemente da farmi arrivare agli esami di terza media con la raccolta dei primi Aerosmith nel walkman: Pandora’s Box. Assistito al rilancio del gruppo con la Geffen, l’etichetta che li aveva fatti debuttare nei settanta (Columbia), aveva provato a battere il ferro riproponendo i primi, grandi, successi. E lì, senza aspettarmelo, mi sono scontrato con Dream On, il primissimo singolo (1973!), che senza rendermene conto avevo sentito qua e là mille volte, probabilmente tra film e telefilm assortiti. Seguono alcuni mesi di passione che però si spegne nel 1995 con l’altra raccolta, allora contemporanea, Big Ones. Poi successe quella cosa dei Nirvana e tutto il resto e già ai tempi di Nine Lives (1997), gli Aerosmith erano roba da naftalina.

Una scansione di una delle illustrazioni originali di Virtua Racing. Pochi giochi hanno saputo mantenere un’eleganza simile, intoccabile negli anni. Il dettaglio delle scintille poligonali è da applausi e lode accademica.

Anche Virtua Racing è rimasto pucciato nella naftalina mentale per una vita, in parte vittima dello stesso meccanismo che mi aveva fatto pensionare gli Aerosmith: c’era troppo di altro e di più nuovo e di più eccitante. Di Daytona USA si è già detto, ma poi anche Ridge Racer, per rimanere ancorati ai giochi di corse (più che di guida). Gli Aerosmith, però, non mi sono mai tornati in heavy rotation e anche adesso che riascolto Get a Grip dopo una vita, tolti alcuni pezzi, ammetto di non averne sentito la mancanza. Virtua Racing, invece, ce l’ho installato su Switch nella sua versione a sessanta frame al secondo e quella sì che mi mancherebbe.

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