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Smashing Pumpkins: mele stramarce

Dandy Zucche all'epoca d'oro: lati incontrollati.
Dandy Zucche all'epoca d'oro: lati incontrollati.

Gli chiedete una pulitina al parabrezza e lui vi lascia con l’auto incerata e i tappetini lavati. Che Billy Corgan abbia evidenti problemi di sovraproduzione è palese. Pressoché ogni disco della prima fase degli Smashing Pumpkins è fondamentalmente un doppio, se non un triplo. Con l’unica eccezione, volendo fare un po’ più i precisetti del menga, di “Gish” (1991). “Siamese Dream” aveva il suo “Pisces Iscariot” (outtakes e b-side), “Mellon Collie & the Infinite Sadness” era naturalmente un doppio di per sé, con in aggiunta una strepitosa e ammorbante serie di maxi-singoli ed EP (“Aeroplanes Flies High”), “Adore” poteva contare sui suoi begli “Adore Demos” (negli ultimi anni arricchiti dai non-più-fantomatici “Adore Demos II”) e “Machina/the Machines of God” portò in dote il primo album completamente scaricabile senza estorsione di soldo alcuno (“Machina II/Friends and Enemies of Modern Music”). Tanta roba. “Gish” si salverebbe semplicemente dando per buoni i settecento demo o giù di lì che compaiono sotto forma di purè in “Mashed Potatoes”, la collezione personalissima anche dedicata all’era pre-debutto.

Che Corgan sia intimamente legato al personaggio della rock star è talmente ovvio che viene da chiedersi se non sia la sua mutazione da rock star (ormai devota a Christology) a lamentarsi ogni tanto dell’esistenza di un’identità altrui capace di pagare le bollette. Non perché vada in giro per Los Angeles a ordinare aragosta direttamente dal suo elicottero, ma perché deve sentirsi importante. Importante sul palco. Importante nei confronti del mondo del grande rock&rock. Quando, com’era fisiologico che succedesse, MTV e Virgin gli voltarono le spalle (e quindi quando il resto della mia generazione decise che gli Smashing Pumpkins non erano più cool), lui si è un po’ fermato. Iperproduttivo sì, ma in modo differente. Meno EP, più roba nascosta in giro.
Di canzoni che però andrebbero salvate, tra quelle non-da-disco del gruppo, ne esistono talmente tante da raddoppiare non solo la discografia principale in senso numerico, ma anche qualitativo. C’è un sacco di musica splendida tra i risvolti e le pieghe delle zucche ormai sfasciatissime. E questa, signore e signori, è una selezione un po’ dura e un po’ ad minchiam, delle canzoni semi-nascoste degli Smashing Pumpkins che non bisognerebbe proprio farsi sfuggire nella vita. A meno di odiare malamente tutto ciò che sfoggi la faccia tonda di Corgan, certo. Ultima precisazione: non si tratta per forza di roba da super fan malati. Non solo perlomeno. Quindi se c’è “Medellia of the Gray Skies”, non lamentatevene troppo, dai.

The Smashing Pumpkins (circa 1994).
The Smashing Pumpkins (circa 1994).

Jennifer Ever
(The Smashing Pumpkins – Demo 1988) [video]

Dispersi in un mare anni ’80 e con le sirene a sussurrare di Cure e post-new-wave (o quel che è), al gruppo manca ancora un suono e un’identità. Manca non solo a Corgan, volendo dar retta alla pochezza di Chamberlin alla batteria (ma, ehi, è un demo!). Però “Jennifer Ever” ha quel bel sapore degli Smashing Pumpkins che, ufficialmente, non sono mai stati. La melodia e il giro di basso funzionano bene, soprattutto funzionano in maniera del tutto dissimile a quanto sarà mai fatto più tardi. Tralasciando, forse, la canzone che trovate proprio qua sotto.

Honeyspider II
(Reel Time Sessions – Demo 1989)

Esiste in molteplici versioni: prende il via dale Reel Time Sessions del 1989 e arriva a compimento nel 7 pollici bonus di “Pisces Iscariot”. Sì, quello che costa sui 400 dollari e non potrò mai permettermi. Qui compare come “Honeyspider II” ed è senza dubbio l’edizione con il suono più pulito e la registrazione più degna. Ma la canzone è sempre lei. Un giretto di chitarra pizzicata che lascia intendere la futura vena cosmica dei pezzi più spaced del gruppo. Ancora un po’ vuota per i canoni di Mr. Corgan, ma da salvare sempre e comunque in caso di cataclisma. Nota bene: va accoppiata a “Not Worth Asking”, stesso periodo, altrettanto riuscita.

Bye June
(Reel Time Sessions – 1989)

C’è tutta una mezza storia dietro le vicende di June. Vicende che teoricamente si rincorrono attraverso più di un episodio discografico degli Smashing Pumpkins. Questa è la prima puntata, ancora frutto delle “Reel Time Sessions”. Anticipa i momenti acustici più essenziali e migliori delle b-side di “Tonight, Tonight” e qualcosa in odore di “Adore”. Più facile recuperarla sull’EP “Lull” (1991) che altrove.

Once in a While
(“Ava Adore” Single – 1997)

Disponibile sia negli “Adore Demos” che come b-side di “Ava Adore”, “Once in a While” compare in forma identica in entrambe le uscite. In entrambi i casi, quindi, è un bel lamento un po’ gracchioso, parecchio dimesso e tendenzialmente lacerato. Una perfetta canzone à la “Adore” insomma, con Corgan che presumibilmente fa tutto da solo (batteria permettendo) e arriva a volersi così bene che si armonizza nella doppia voce. Pregustazioni di quanto farà in epoca “Zeitgeist”. Nota: ci stava “Once in a While”, ma ci stava anche “Blissed and Gone”

Zeitgeist
(“Tarantula” Single – 2007) [video]

Quello che manca all’ultimo disco, in senso cronologico, è la parte più soft o hyperviaggiante del suono-Pumpkins. Quella che Chamberlin, alla pubblicazione dell’album, definiva l’anima “artsy” del gruppo. Manca in buona parte, ma non del tutto e “per scelta”, dicono. Be’, un po’ ce n’è nel secondo lato di “Tarantula”. “Zeitgeist”, la canzone, è solo la prima figlioletta della fase acustica che seguirà la pubblicazione del disco, con i concerti residenziali al Fillmore. Ce la fa e ce la fa bene.

Saturnine
(“Judas 0: B-Sides and Rarities” – 2001)

Derubatosi da sé del suo batterista e della sua metà musicale, Corgan rientra in studio deciso a sbatacchiare sui piatti elettronici. Ne esce, in un certo senso, “Adore”. Tra le storie che mancano, di quelle sessioni, fa parte “Saturnine”. In piena vena “Batman Forever”, la canzone unisce il cantato super snasato di “Ava Adore” alle atmosfere minimaliste-futuristiche del periodo più rivalutato degli Smashing Pumpkins. Arriva per la prima volta grazie a “Machina II”, ma in formato quasi inintelligibile. Torna, finalmente con tutti i crismi del caso, in “Judas 0”, la versione qua in ascolto.

youandyouandyou
(Demo – 1999)

C’è su disco, in effetti. Solo che è conosciuta con un nome differente: “The Crying Tree of Mercury” (“Machina/the Machines of God” – 2000). Delle tante canzone dell’epoca su cui Corgan e il gruppo lavorano e rilavorano, senza mai arrivare a una lettura pienamente soddisfacente (vedi “Heavy Metal Machine”, “Blue Skies Bring Tears”), questa è quella che può godere di un’edizione alternativa più intrigante. Per alcuni bei tratti, anche da brividi. Pubblicata attraverso il blog del leader pelato ad anni di distanza, “youandyouandyou” è lo scheletro essenziale della canzone già finita su disco. Spogliata di orpelli essenziali (?!) che comunque la rendevano tra le migliori del lotto sull’album, qui riappare in formato voce e pianoforte. Splendida cosetta.

Gossamer
(Live – 2007) [video]

Il lungo e ricercato Santo Graal del fan della prima ora degli Smashing Pumpkins sopravvissuti fino all’era “Zeitgeist”. “Gossamer” è la jam session alterata e con quel tanto di forma per diventare canzone e accompagnare il gruppo attraverso i tour degli ultimi due anni. Dentro c’è all’incirca tutto quello che ha caratterizzato il suono degli Smashing Pumpkins nei secoli. Pur se con differenti “filtri”. Pesta, accelera, si ferma, grida, sussurra, riparte, esplode e si riposa. In bilico tra l’essere troppo esagerata e l’essere semplicemente una gran cosa, si trova in formato comprabile solo nel DVD “If All Goes Wrong” (2008). Occhio: dura 34 minuti.

Ugly
(“1979” Single, 1996)

L’epopea dorata delle b-side di “Mellon Collie & the Infinite Sadness” ha sparso gioia e richiesto soldi per un anno intero. La fase del “il mondo fa schifo ma è bellissimo” girava anche al ritmo della chitarra spizzicata e loopata di “Ugly”. Troppo leggera e sotto-ritmo per finire nei due dischi senza metterne in pericolo l’andamento perfetto, si adagia splendidamente sul retro di “1979”, assieme ad altre piccolezze perlacee (“The Boy”, “Cherry”, l’ottima “Set the Ray to Jerry”).

My Blue Heaven
(“Thirty-Three” Single, 1996)

Non è la canzone “migliore” di quell singolo (la palma va probabilmente a “Aeroplane Flies High – Turns Left, Looks Right”), ma quella meno prevedibile… questo sì. Un giochetto anni ’30, che per vicinanza tematica (non certo musicale) avrebbe potuto trovare spazio sul disco di Lilian Gish.

Medellia of the Gray Skies
(“Tonight, Tonight” Single, 1996)

Classico caso del “tu canta di là in cucina, io registro qua in salotto”, “Medellia of the Gray Skies” è palesemente frutto del periodo Re Mida di Corgan. Perfetta, nella sua delicatezza e in quella voglia di dramma, nel panorama acustico/pianofortico del singolo di “Tonight, Tonight”, è stata suonata dal vivo per la prima volta nel 2008. Applausi a scena aperta.

Marquis in Spades
(“Zero” Single, 1996)

Una a caso tra le B-side di “Zero”, discorso che va bene per questa, per “God”, per “Mouths of Babes”, “Pennies” e soprattutto “Pastichio Medley”: la formula del singolo tematico funziona ancora. In questo caso con una manciata leggera di pezzi à la “Zero”, ma con decisamente meno personalità o perlomeno non a sufficienza per vincersi la promozione su “Mellon Collie”. Come aggiuntine extra al singolo, però, sono da sonni felici.

Starla
(“Pisces Iscariot”, 1994)

Doveva far parte di “Siamese Dream”: per motivi di dilungaggio non ci arrivò mai. Lo spazio, però, era sufficiente nell’edizione inglese del singolo di “I Am One” e nella raccolta “Pisces Iscariot”, in cui compare anche “Spaced”. La vera canzone spaced, però, è proprio “Starla”, coi suoi dieci minuti che lasciano a Corgan, Iha, Chamberlin e Wretzky lo spazio per arrotolarsi su uno sbuffo anni ’90 tinteggiato di ’70 e ’60. Come “Gossamer”, diversa da “Gossamer”, più delicata nel toni, più riuscita.

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