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1 Song a Day: Debaser (Pixies)

Pixies Doolittle

Una canzone al giorno leva il medico di torno. Se è quella sbagliata, nel posto sbagliato, all’orario sbagliato, ti leva di torno pure il contratto a tempo determinato o d’affitto. Un bel chissenefrega è comunque sempre auspicabile. Clicca qui per scoprire le altre canzoni del giorno.

Sceglietene una a caso da “Doolittle”, tanto vanno tutte bene. “Debaser” è il pezzo di apertura del secondo album dei Pixies, che si è ormai messo alle spalle ventuno anni (era il 1989). Ed è tuttora un classico che vagli a dire a qualcosa: dal giro di basso, dalla chitarra e fino alle voci che si danno il cambio e si incastonano felici. Tra il melodioso e l’urlaticcio, con quella carica di lo-fi così splendidamente organizzata tanto dal gruppo, quanto dalla produzione efficace di Gil Norton. Poi, già che ci siete, prendete anche tutte le altre e riascoltatevelo. Chiudete sintonizzandovi sul perfido Ticketone, per acquistare i biglietti del concerto a Ferrara di giugno, in cui l’intero “Doolittle” sarà protagonista pronto a lanciare amore ad ampie secchiate.

Debaser

Pixies DoolittleDi: Pixies
Durata: 2′:53”
Dal disco: Doolittle
Anno: 1989
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Musica Variopinto

Coerenza spaccapalle

"If man is five... Then the devil is six"
"If man is five... Then the devil is six"

Non sono uno aperto alla novità e alla diversità culturale quanto supponevo. Ogni tanto me ne accorgo. Prima penso: “dio santo, quanto sono superiore”. Poi entra in gioco il jumper del politically correct e si passa a un: “mi pare corretto, anzichenò, rispettare questa scelta che mi vede solo inizialmente nemico, però magari posso estirparci via* un po’ di saggezza extra”. Dopo dieci minuti torno alla superiorità, ma fa nulla. Poco più di un anno fa conoscevo una persona. Una che parla. Ma tipo parla un sacco più di quanto uno si aspetterebbe da una persona che parla un sacco. Non ci pensa eh: prende e va, poi cambia discorso, poi ricomincia, poi attacca con le implicazioni pratico-sociali della disoccupazione pressoché totale dei calzolai. E ricomincia. E’ la Santilli, per andarci giù dritti. E lei mi aprì una porta su di un mondo che non volevo riconoscere, se non nella dimensione alternativa fatta di fan di Vasco e risma simile: lei ascoltava (ascolta?) principalmente canzoni. Non dischi, canzoni. Una canzone da quel disco, una da quell’altro. La prima volta che mi sono soffermato sul suo iTunes ho visto la stanza girare: due zillioni di artisti, quasi nessun album completo. Per un feticista dell’iTunes era un dolore di difficile sopportazione. Per un maniaco dell’album integrale, un male da estirpare. Per un teorico della discografia completa come unica via verso la conoscenza, un inferno a cielo aperto. Sono talmente impucciato in questo brutto mondo che non solo i dischi vanno sentiti interi altrimenti vuol dire che l’artista è una mezza sega (non serbo amore per gente che azzecca un singolo e ciao), non solo è male fermare il disco a metà, non solo le raccolte di greatest hits sono per chi non vuole sbattersi a capire se c’è qualcosa di vero oltre la canzone da radio… ma nemmeno si mette il repeat. La canzone, se infilata in un disco completo, non si ripete. Perché deve essere preservato l’ordine e l’integrità dell’opera, va gustata la direzione che prende l’onda musicale, prima e dopo quel pezzo che tanto lo sai che nove su dieci è meglio di quello dopo. Anche se quello dopo è un bel pezzo. Ma anzi, meglio così, perché i dischi belli per sul serio sono come dune mobili che vanno addocchiate mentre si muovono e prendono nuove forme. Dall’inizio alla fine. Però, mmminchia, io ora tornerei a riascoltare per la seconda volta di fila “Monkey Gone to Heaven”. Cazzo.

* Agnelli dice che è una licenza poetica

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