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I miei Beatles

In vendita da oggi, amabili dal 1963.
In vendita da oggi, amabili dal 1963.

Adriano Celentano ha fatto più di una cosa buona nella sua esistenza, tra cui “I miei americani”, raccolta di cover semi-moderna che, per un periodo, ha girato freneticamente nell’autoradio di mio padre negli anni ’80. E da lì prendo il titolo del post per lo scritto oggi più che mai obbligatorio dedicato ai Beatles. Uno scrittino piccino picciò, in cui invero non si dice pressoché nulla, ma per festeggiare la ridiscesa in una stereo/mono-fonia tutta nuova della discografia… be’, si può anche fare.

E quindi se i Rolling Stones mi sono ancora largamente indigesti (ma è più il terrore di mettersi a studiare, scoprire che piacciono e chiedersi dove trovare il tempo pure per loro), i bellocci di Liverpool sono da anni tra i motivi per cui vale la pena vivere. Non molti anni comunque, non per davvero. Perché dove sono cresciuto io nessuno me li ha infilati per osmosi in testa e nel cuore, tranne la televisione e le radio a casaccio: è stato tutto un recuperare piuttosto recente, a tratti recentissimo. Il ricordo basilare, comunque, vaga attorno al 1985 o 1986: ho il mio fido registratore a cassettone, di quelli che si portavano in giro con la maniglia. La cassetta dentro è un misto di roba presa da… Radio Rai probabilmente. Il pezzo più ambito è “Here comes the Sun” e lo ascolto piuttosto rapito mentre aspetto che arrivi l’ascensore e poi in giardino. Coi Beatles sono cresciuto perché in qualche modo arrivavano, finché non sono arrivati tutti seriamente, sotto forma di due CD di mp3 con l’intera Beatlesografia donata da Babich, che è stato spedito su questo pianeta anche per diffondere il verbo beat degli scarafaggi. Lì è cominciato lo studio, non troppo regolare, che però ha subito puntato all’invididuazione del disco preferito: che era “The Beatles”, insomma il “White Album”. Anche perché, leggendo un discreto numero di pessime riviste musicali, era un po’ quello che veniva citato ovunque. Assieme a “Sgt. Pepper’s…” naturalmente. Ma a quello sono arrivato un paio d’anni più tardi: era all’incirca il Natale del 2000 e ho preso il CD del sergente, probabilmente l’unico fatto circolare in casa da chi avrebbe teoricamente dovuto occuparsi di Beatles (mio fratello). Grande, grande amore.

Rubber Soul (1965), è lui o non è lui quello giusto?
Rubber Soul (1965), è lui o non è lui quello giusto?

Che mi piacesse pressoché qualsiasi episodio registrato da Paul, John, George e Ringo era ormai assodato da tempo, eppure ci vogliono ancora altri anni prima che mi prenda la briga di mettermi tranquillo a spararmi un disco dietro l’altro in senso cronologico. Succede in questi ultimi due anni, con una certa costanza e frequenza. Poi l’accelerata finale verso il fanatismo da due lire, permesso in particolar modo dalla comparsa improvvisatissima del cofanone con tutti i vinili. E c’è il secondo cambio di disco preferito: da “Sgt. Pepper’s…” si passa a “Rubber Soul”. Credo. Vai a sapere…
Ora, in teoria, si ricomincia. Ma all’alba dell’una meno venti sono troppo stanco per capire se questi benedetti nuovi remaster siano così fighi come sono sicuro che siano, dato che sempre Babichan ha già detto qualcosa a riguardo via mail. Intanto è “Bungalow Bill”: una a caso, tanto che diavolo serve scegliersi un solo disco da amare coi Beatles?

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