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Giornate

Walkabout

Un meritato riposo sul davanzale londinese.
Un meritato riposo sul davanzale londinese.

Appena tornato da Londra, il regalo di laurea di donna Santilli ha funzionato nel migliore dei modi e dei mondi possibili, quello rappresentato per l’occasione da sessanta e rotte mila persona riunite a Hyde Park. Ma non è questo il momento per parlare del concerto dei Blur. Sul giradischi gira (ovvio) “One Hot Minute”, l’unico altro disco dei Red Hot Chili Peppers che serve davvero dopo “Blood Sugar Sex Magik”, di un bello che ancora oggi non perde un’unghia del suo impatto. L’ultima volta che Kiedis, Flea e soci hanno provato (volenti o nolenti, vedi alla voce “Frusciante è uscito dal gruppo”) a non stare fermi. E hanno fatto qualcosa di splendido, largamente sotto-apprezzato dalla critica che voleva solo “Blood Sugar Sex Magik Parte 2”. All’arrivo anche la gioiosa scoperta che il postino ha infilato a CazzoDiCane l’LP di “Vitalogy” nella casella, solo per un angolo: la pioggia di oggi ha fatto il resto. Non sufficiente per ammazzarlo, né per fargli venire un raffreddore grazie al cielo. Domattina i vicini si pupperanno quello.
Felicità, abbracci, figli maschi e saluti.

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Giornate Lavoro Musica

Headphone happens!

Puoi sentirci anche gli Zero Assoluto e sentirti meno stronzo, forse.
Puoi sentirci anche gli Zero Assoluto e sentirti meno stronzo, forse.

Chiuse, circumaurali, con una frequency-response da 5 a 53.000 Hz e una normal impedence di 80 Ω, le DT 770 Pro di beyerdynamic sono una figata spaziante. Cioé, non ho veramente idea di cosa diavolo sia la normal impedence, ma, per dirne una, “Vs.” (Pearl Jam) non è mai stato sentito con tutto questo fluido di amore in circolo, almeno tralasciando i concerti dal vivo. Dolci dono del Gorman, le DT 770 Pro seguono l’evoluzione delle faccende per le orecchie e la musica avviata in maniera molto soft con gli auricolari in-ear di vario retaggio acquistati negli anni 2000. Cose belle, il difetto vero è che se oggi andassi a scuola nascondere una delle due padelle nel palmo della mano sarebbe meno probabile. E quindi dovrei pupparmi Dante nelle ultime due ore del sabato, che, si sa, non esistono.

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Musica

Backspacer

Backspacer by Pearl Jam (dettaglio)
Backspacer by Pearl Jam (dettaglio)

Giornata tematica: questa è l’altra fraccia della medaglia, ovvero il precedente post dedicato al nuovo disco dei Beastie Boys. A differenza dei tre di New York, Vedder e soci (e il loro Tenclub.com) non si sono ricordati/degnati di spedirmi aggiornamenti dedicati al nuovo lavoro, che quindi scopro con indecente ritardo. E indicibile mestizia. Verrà pubblicato il prossimo 22 settembre (rendendolo fin da ora il mese più ciuccelloso dell’anno), si chiamerà “Backspacer” e… e si chiuderà dopo soli 36 minuti di musica. L’ultimo dato è tutto fuorché ufficiale, ma così giura e spergiura una rivista  teutonica che oltretutto si spinge molto più in là, fino a commentare ogni singola canzone. Di sicuro c’è il nome, ma anche l’esibizione al nuovo The Tonight Show with Conan O’Brien di “Get Some“, forse primo singolo del disco. Forse no. Poi ci sono questioncine tipo la distribuzione “a mano” negli USA, fatto salvo l’accordo con Target come unica catena autorizzata alla vendita; l’arrivo in Europa attraverso Universal e… e un’altra faccenda ridicola dopo il click.

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Musica

Insalatunes: Pearl Jam

PJ: nervosismo da insalata?
PJ: nervosismo da insalata?

Ci sono dei requisiti essenziali per prendere parte al festival karmico Insalatunes: bisogna aver portato a casa più di cinque dischi e bisogna essere perlomeno catalogati tra quelli che “non fanno sempre la stessa roba”. I Pearl Jam soddisfano senza discussione alcuna entrambi i criteri. E dopo essere balzati all’onore delle cronache di questo blog per il nuovo sottotitolo a base di cetriolo, si meritano anche la relativa insalata randomizzata.
La prima proposta è interessante e coraggiosa, niente celebri pezzi che hanno fatto la storia delle camice di flanella coi quadroni, ma “All Night”, una canzone che avrebbe voluto finire su “No Code” e invece si è dovuto accontentare di conoscere il grande pubblico attraverso “Lost Dogs” (2003). Non è la più rappresentativa dell’intera carriera dei PJ, ma perlomeno ha un bel po’ da dire sui Pearl Jam della seconda epoca, quelli alle prese con melodie meno immediate e riff di chitarra non propriamente “da stadio”.  Che sia nata nei tempi “o la va o la spacca” del post-grunge (non come genere, come epoca) è lampante: non c’è nessun Jeremy a raccontare una storia, non c’è nessun inno generazionale, ma una batteria di padelle che Jack Irons percuote sistematicamente mentre Vedder tenta in tutti i modi di confondersi col tappetone sonoro. L’unico vero momento di eccitazione di McCready viene lasciato vivere sottotraccia, senza i clamori e i riflettori che avrebbe preso in altri tempi. Idealmente è tra le prime canzoni “col vocione” di Vedder, quello da ometto fatto, quello da quello che vuole diventare il nuovo saggio e intanto, per l’occasione, tira in lungo un lamento. iTunes sofisticato: per prendere parte all’insalatone PJ serve subito essere ben predisposti.

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