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Febbre da ghiaccio

Fever Ray
Fever Ray

Per dieci tracce Karin Dreijer ridipinge i suoni e i panorami desolati, ghiacciati, innevati e sorridenti, solari e muti, dispersi nel grande nord Europeo. Sono i dieci pezzi che costruiscono i quasi cinquanta minuti di “Fever Ray”, prima uscita solitaria della metà dei Knife, il gruppo sintetico elettronico tanto caro non solo alle classifiche di Pitchfork, ma anche e soprattutto ai compagni Royksopp. Un disco per esordire da sola che non si spinge molto più in là di quanto già fatto con “Silent Shout” (2006) proprio con il fratello. Ed è un bene, perché il terzo disco dei Knife era un gran disco e “Fever Ray” è uno strepitoso debutto. Ritmi compassati, leggeri, suoni netti e produzione cristallina, che si miscela ininterrottamente con gli orizzonti a perdita d’occhio delle terre ghiacciate, con i sintetizzatori a distillare suoni algidi ma avvolgenti, tutti perfettamente leggibili. Rimangono le due identità di Karin, che vivono attraverso la voce naturale e quella “pitchata” verso il basso che riporta alla luce il mostro diluito che fa da contraltare nel cantare di faccende personali e tendenzialmente lisergiche. Una spruzzata di anni ’80 e di modernità, in cui niente è messo a caso e nessuna delle canzoni viene presa sottogamba o abbandonata anzitempo a se stessa. Cinquanta minuti per imbastire un unico discorso, affascinante e al tempo stesso meno cupo dei passaggi più stregati di “Silent Shout”, ma non per questo “Fever Ray” si può mai dire, neanche per mezzo istante, un disco allegro. Unico e forzatamente debitore al gruppo originale di stili e idee, “Fever Ray” dimostra che c’è dell’arte nel leccare i pali ghiacciati e rimanerci attaccati con la lingua. Da ascoltare prima di subito, per lunghe mattinate, soffocosi pomeriggi di lavoro, stranianti notti stellate e piene di divano.

Fever Ray – Fever Ray (2009)
Coop – 48 minuti
Queste dovete ascoltarle: If I had a heart, When I grow up, Keep the streets empty for me.

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