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Videogiochi

Videogiochi e illustrazioni, puntata #1

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Tra i discorsi da snob miei e del Magiustra è spesso rimbalzato quello delle illustrazioni dedicate ai videogiochi. Più precisamente le copertine, che poi sono solo la punta dell’iceberg. Perché in novantanove casi su cento l’illustrazione di copertina è solo il frutto di tutto lo stile (o, meglio, della mancanza dello stesso) palesata all’interno del gioco. Ecco, quante copertine “belle” ma tipo “davvero belle” ricordate? Poche. Ce ne sono di degne, di interessanti, alcune fatte bene, ma di copertine superbamente e amorevolmente ricche di stile… be’, poca roba. Molto più facile, invece, che vengano pensate e realizzate unicamente come dei cataloghi dell’Auchan, giusto un filo meglio. Il che ci sta anche, dato che tutto sommato a quello servono: devono accalappiare l’attenzione e farsi volere bene da qualche banconota.
Soprattutto nel caso di giochi di medio livello, la copertina è probabilmente il primo e ultimo mezzo di comunicazione/pubblicitario cui ci si possa affidare. Spazio risicato nelle riviste offline/online, niente campagna televisiva e quel neo del modello di distribuzione unico e limitato che tarpa le ali ai videogiochi da anni. Quindi giusto così, purtroppo. Però… però poi capita di vedere qualcosa di simile al lavoro svolto da Robert Penney (cfr. immagine in apertura di post) o quello di tanta altra gente sull’internet e un po’ ci rimani male. Va bene, in realtà la questione-Penney è più sfaccettata, perché il valore aggiunto è tutto dato dalla memoria, dal retroamore e via andando (oltretutto, in questi casi, si parla semplicemente di film-riadattati-a-videogiochi che mai furono). Ma, invece, i finti “videogiochi se fossero stati libri” che incollo qua sotto? Da pulirsi gli occhi.

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Musica

Reginette con lo scalpello

R - Queens of the Stone Age (2000)
R (2000)
Era Vulgaris (2007)
Era Vulgaris (2007)

Mi trovo in una sorta di limbo del fastidio anti-blog. Non mi viene in mente cosa scriverci, ma vorrei farlo. Come di fronte alle strepitose pagine di approfondimento sull’arte videoludica che, ahimé, devo compilare mal che vada una volta al mese, ho mezza idea, poi ci penso sù e mi dico che non si possono buttare lì due righe per farlo. Non con quello che pagano i miei abbonati. Quindi provo artificiosamente a costruire qualcosa in cui non credo nemmeno io. L’occasione nasce comunque dal ritrovamento nei meandri della rombante Civic di un CD di un paio di anni fa: “Singolarmente”. Si chiama così perché ci avevo piazzato sopra i singoli nuovi di quella primavera: “Icky Thump” (The White Stripes), “3’s and 7’s” (Queens of the Stone Age), “Do it Again” (The Chemical Brothers) e… e in più, soprattutto, alcuni album interi. Tra cui il sufficientemente noioso “Volta” di Bjork (ridatemi HomobjorkPost!) e quattro splendide raccolte dedicate a Josh Homme e soci barbari: i Queens of the Stone Age. Quattro album donati dal mondo fatto a torrente e dedicati alla roba rara, non da disco ufficiale, magari molto da sessione nel deserto. Disquisizione sui Queens of the Stone Age!

Songs for the Deaf (2002)
Songs for the Deaf (2002)

I fatti: i QOTSA hanno un acronimo che è una roba dell’altro mondo, splendido – i QOTSA sono tra le poche cose davvero buone che ci hanno portato gli anni 2000 (sì, il primo è del ’98, ma il bordello vero accade negli ’00) – i QOTSA riportano in carreggiata Mark “Nostro Signore” Lanegan – i QOTSA si annoiano e regalano a Dave Grohl il suo miglior disco dai tempi di “In Utero” – i QOTSA dal vivo sono al di là del bene e del male, sono lo spettacolo sudato e ruvido per cui strapparsi le mutande che ogni festival musicale (e non) dovrebbe avere. I quasi fatti: le copertine e le scelte artistiche rispecchiano alla perfezione la dissociazione mentale e musicale del gruppo. Date un’occhiata alle due immagine qua attorno, sono le “cover” del disco di debutto omonimo e di “Lullabies to Paralyze”, il difficile compito post “Songs for the Deaf”.

Lullabies to Paralyze (2005)
Lullabies to Paralyze (2005)

Non sono brutte, sono oltre: sgraziate e luride, in entrambi i casi paiono bootleg fatti male da un sedicenne che ha scoperto delle fiabe oscure e il porno gratis. Brutte in tutto, pure nella scelta del font per logo e titolo. Cavernicoli del menga! In realtà vale la pena fare dei distinguo, che non si cialtroneggia qui: la foto di copertina del disco di debutto è roba, teoricamente, ricercata. Ovvero uno scatto degli anni ’70 di Mark Gabor . Il problema è proprio il font e tutto quello che gli gira attorno, e le linee nel libretto non lasciano spazio a dubbi: “package@1998Kozik/Homme”. Colpa del bestio canterino.

QOTSA (1998)
QOTSA (1998)

Altra faccenda per “Lullabies to Paralyze”: il lavoro dentro, nel libretto, è roba interessante. Illustrazioni finto psicopazze + fiabe per bambini eroinomani + uomo nero che ti rapisce. Ci sta. Quel che non ci sta, nel lavoro che si scopre addebitato a tale Hutch, è ancora una volta il font, il logo, la disposizione del tutto sulla cover. Il male fatto male. Il che fa abbastanza ridere, perché il secondo e il terzo lavoro in studio (“R” e “Songs for the Deaf”), sono essenziali e deliziosi. Di classe e gusto, anche e soprattutto cromatico e di logo. Bello strano, perché il nostro Hutch ha messo le mani e deciso tutto ai tempi dello spermatozoo-Q del disco rosso di cui sopra. Il cianone al centro di “R” è invece da addebitare a un’idea dello stesso Homme  e dell’ex amico picchia squinzie Olivieri, però supervisionati d Francesca Restrpo e Design Palace. Chiudiamo: il letale Hutch torna a far danni estremi (questa volta lavorando malamente anche su quanto di buono aveva fatto con lo spermatozoo) in “Stone Age Complications” (EP). Fino alla via di mezzo più che accettabile di “Era Vulgaris”: scomparso Hutch è tutt’altra gente che se ne occupa (Morning Breath, Inc.).
Che c’entra tutto questo con la musica? Con della bella musica? Nulla, infatti dovreste proprio andare a cercarvi “QOTSA B-Side and Rarities” dal volume 1 al volume 4 e spararveli malamente su di un qualche stereo o quel che volete. E lasciar perdere i blog senza idee.

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