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In battaglia col cotton fioc

Battle for the Sun (Placebo, 2009)
Battle for the Sun (Placebo, 2009)

Una guerra non è guerra senza i morti. E la battaglia dei Placebo è del tutto priva di sangue, nessun lago di plasma. C’è tanta testa, ma poco istinto brutale, quella stessa tendenza alla violenta depressione, alla cavalcata lancinante che ha reso “Without You I’m Nothing” una gran cosa e ha glorificato qualche altra singola canzone nella carriera dei tre inglesi.

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Hombre Lobo

Hombre Lobo (Eels)
Hombre Lobo (Eels)

Ovvero: come continuai a farmi crescere la barba, fino a diventare un uomo lupo. Gli Eels, sarebbe a dire E., hanno/ha annunciato il nuovo disco: “Hombre Lobo”. Lo hanno/ha fatto un paio di mesi fa, ma mi ero perso completamente la faccenda. Tanto meglio, dato che accorgendomene oggi sono a solo tre giorni scarsi dall’uscita (2 giugno) e già in zona “lo ascolto sul loro sito per intero”. Certo, la qualità non è sempre cristallina, ma avendo quella solita produzione mezza sospesa tra il lo-fi e il mica lo-fi, non si perde poi moltissimo. E “Hombre Lobo” pare proprio il seguito spirituale di “Souljacker”, il disco del 2001 che è poi anche il mio preferito di tutta la carriera delle anguille, probabilmente assieme all’immancabile “Beautiful Freak”. Rozzo e innamorato, tutto ruvido e peloso, con un cuore da cane cuccioloso, Hombre Lobo ambisce a entrare con violenza nella Top Ten dei migliori dischi del 2009, già piuttosto nutrita oltretutto. Difficile, invece, che ci rientri “Battle for the Sun”, il nuovo dei Placebo. Ma di quello si parlerà in un futuro post. L’occasione mi è lieta per incollare un post pubblicato poco più di un anno fa sul vecchio blog. Esatto, è il momento del riciccio ufficiale.

“Ci sono dischi che ti fanno sentire intelligente e acuto, uno che di musica ne sa. Per dirne uno: sono convinto che il mondo disprezzi “Souljacker” degli Eels, ma magari no. L’importante è che sia un gran bell’ellepì e che oggi giri vorticosamente (si fa per dire, di .mp3 trattasi). Con quel barbone un po’ così e un sottotitolo stupido ma graffiante, “Souljacker” rappresenta il punto più alto della produzione di Mr. E, assieme all’immancabile “Beatuiful Freak” e ovviamente a mio insindacabile parere. Dopo e poco prima ci son stati lavori pretenziosi, anche troppo, interessanti ma sempre un po’ dispersivi, verbosi. Intriganti, ma sempre un po’ sfocati. Camminando bassissimo, rasente terra, “Souljacker” vince bene e vince facile solo a un primo ascolto, perché comunque di roba per cui ammazzarsi di seghe ce n’è: tra xilofoni, percussioni a cazzo su un secchio della spazzatura, sovraincisioni, violini teneroni e lancinanti…

L’amore arriva anche da due ricordi precisi, entrambi coccolosi. Il primo mi vede camminare placido con il discman in zona Duomo. Era novembre, credo, il disco era appena uscito e ciondolavo inutilmente tra la neonata FNAC (quasi neonata, insomma), Virgin (ancora in vita) e Porta Venezia. Nel mentre qualche telefonata di un troione da competizione che comunque ha avuto qualche mese di attenzione (e anche altro, ok). Però era una bella giornata, una sera luminosa d’inverno, di quelle che se ci giri un film a New York fai i sodli, ma che in zona Mediolanum fa un po’ meno scena.

L’altro ricordo: il tour degli Eels a supporto del disco. Ho tenuto per un paio d’anni buoni una maglietta nell’armadio (“Man Driving / Band Touring”), un po’ piccola per il sottoscritto, anche perché era dell’ex che aveva partecipato attivamente al concerto. Allora ancora poco ex e molto presente. Il concerto verrà ricordato per il pubblico più fastidiosamente inutile della storia dei concerti a cui abbia assistito. Fermi, zitti, muti, congelati… su un disco come “Souljacker”. Bisogna davvero essere dei milanesotti protofighetti del cazzo. Mr. E taglia la voce alla chitarra, prende il microfono e chiede placido: “che giorno è? Sabato? Si può fare rock’n roll il sabato vero?”, evidentemente stizzito dalla noia mortale. A calci, certa gente va presa a calci!”

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