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DMB: live in una scatoletta

Dave Matthews Band

Toglile il panorama mozzafiato della Gorge (Washington), levale il Central Park o il Golden Gate Park (New York e San Francisco), trascinala via dal Red Rocks Park in Colorado e cosa ti rimarrà della Dave Matthews Band? Un’ottima live band, un po’ meno viva. Perché a Dave Matthews e ai suoi la cartolina “Greetings from…” calza semplice e naturale, con i suoi dovuti colori kitsch, tradizionali come il rock venato di country del seghino sudafricano e del suo esercito. Come l’aquila dell’immaginario statunitense, anche alla band del sud degli USA lo spazio serve per prendere fiato e incendiare l’aria.
Ai sette (!) sul palco, il vecchio Palatrussardi sarà parso una balera di paese, ma non è bastato per togliere energia alle due ore e mezza di concerto, aperte con “Proudest Monkey”: perché tanto non c’è vecchio e non c’è nuovo se sei in perenne tour, se sei uno di quei gruppi che vive masticando biglietti e contatto visivo con le squinzie in prima fila o gli avvocati in ultima (ieri erano circa a metà, verso sinistra, di fronte a noi – impassibili).


Dave Matthews Band

A dire il vero qualcosa è stato tolto, non solo l’impatto scenico e quel profumo di Zio Sam che si suppone (qui si parla solo seguendo linee teoriche, occhio) possa regalare tanto alla Dave Matthews Band. No, anche un po’ di convinzione nella prima parte della lunga set-list. Eseguita bene, perché quando si parla di suonare la gente che si accalca attorno al capobanda non ha nulla da temere… ma portata a casa un po’ col pilota automatico. “Anche a fronte di tutte le code strumentali?”, già, anche a fronte di quelle. Proprio perché quando diventano un po’ lo standard per ogni santissima canzone, dubitare che ci sia solo del metodo e non anche dell’urgenza e una necessità di svirgolare per tre minuti sulla chitarra (ieri ha fatto bella presenza anche Tim Reynolds), be’… è lecito.
Lecito almeno fino a quando qualcosa non inizia davvero a scattare e allora Matthews si libera un po’, sembra meno ridicolo quando si fa prendere dai suoi attacchi epilettici (che fruttano un bel po’ di “dubidu-bababa” al microfono e qualche circa-danza-robotica) e capisce che ha, irrimediabilmente, in mano testa e cuore di chi è accorso da Milano, Lombardia e oltre per godersi il primo concerto meneghino del gruppo da… non si sa, da qualcosa come dieci anni e più probabilmente*.

Dave Matthews Band

Le scelte in scaletta sono tutte, o quasi, azzeccate: ma quando il repertorio è così ampio (non altrettanto variegato purtroppo), è facile ritrovarsi a discutere delle preferenze personali. Io, per dirne uno a caso, avrei preferito godermi qualcosa dal delizioso “Busted Stuff” (2002) e invece nulla. Tengono invece benissimo i pezzi dell’ultimo “Big Whiskey and the Groo-Grux King”, ritorno alla migliore forma sia in studio di registrazione che dal vivo. Ma quello è ovvio, perché le migliori cose su disco della Dave Matthews Band sono quelle che riescono a intrappolare nei solchi dei CD un po’ di quella sinergia e di quel dinamismo che il gruppo mette in bella mostra dal vivo.
“Shake me like a monkey” e “Crash into me”, “Ants marching” ed “Everyday”, “You might die trying” (una delle poche davvero salvabili di “Stand Up” del 2005) e “Lying in the hands of god”: una sequela di pace&bene che non può non trovare i suoi momenti più eclatanti nelle strepitose “Dancing nancies” e “Jimi thing”. Nonostante la zona tangenziale in un febbraio piovoso, nonostante la tizia che passa tutto (TUTTO) il concerto a chattare col Blackberry su Facebook… nonostante tutto e grazie al tappetto con la chitarra in mano. E al Mazinga Violinista, e al Tentacolar Batterista, e a Rod Stewart Reynolds, e al bassista che non c’entra nulla, e alla montagna con in mano non uno, ma due strumenti a fiato. E all’altro a fianco. E tutti i convenuti. E pace e bene e s’ammazzasse Sanremo.

* Possibile che sia questo (marzo 1995) il primo e ultimo show a Milano della Dave Matthews Band prima di ieri sera? Quindici anni signori! Edit: no, come mi ricorda giopep: Sonoria ’96. Solo quattordici.

Dave Matthews Band @ Palasharp

(22 febbraio 2010 – Milano)

  • Proudest Monkey
  • Satellite
  • You Might Die Trying
  • Funny The Way It Is
  • Seven
  • Squirm
  • Crash (Into Me)
  • So Damn Lucky
  • Lying In the Hands of God
  • Why I Am
  • Dancing Nancies
  • Shake Me Like a Monkey
  • Jimi Thing
  • Burning Down The House
  • You and Me
  • Don’t Drink the Water
  • Baby Blue
  • Everyday
  • Ants Marching

Della gente che conosco sull’argomento ha scritto:

viale john lennon 16, 23875 osnago italy

4 risposte su “DMB: live in una scatoletta”

Tre note:
– sono quasi (quasi) riusciti a far sembrare decente l’acustica del Palashorda. Ma quando sparavano tutti a mille, tipo su Don’t Drink the Water, diventava un pessimo minestrone

– a me sono mancate un sacco Cry Freedom e #41

– li ho visti a Sonoria, giugno 1996. Credo sia quella, l’ultima tappa milanese prima di ieri sera. Non escludo anche che sia proprio l’ultima tappa italiana prima di quella a Lucca l’estate scorsa

Sì, sull’acustica. Ma ieri ero fallato nelle ‘recchie e quindi non ci contavo più di tanto. Ho aggiornato subito dopo aggiungendo il fatto Sonoria. Secondo la gente che ne sa l’ultimo concerto è stato a Correggio nel 1998, prima di Lucca intendo.

erano altissimi, gli avvocati impassibili. dannati loro.
e comunque io che di musica m’intendo una cippa assegno diversi punti al nano dall’accento improponibile 🙂

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