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Nevermind (Nirvana): è diciottesimo

Spencer Elden (l'infante della copertina di "Nevermind") nel 2009.
Spencer Elden (l'infante della copertina di "Nevermind") nel 2009.

Come per le riedizioni dei dischi dei Beatles, per l’occasione si va sul personale. Ma insomma, è pur sempre un blog: ogni tanto si dà le arie, ma è sempre un blog. L’occasione: “Nevermind”, secondo album dei Nirvana, compie oggi diciotto e dico diciotto anni. Diciotto autunni, volendo. Pubblicato da Geffen il 24 settembre 1991, arriva a piazzare circa due sgozzillioni di copie nel giro di pochi mesi, quando la miglior campagna pubblicitaria del globo (il passaparola) lo tramuta in uno scintillante dio platinato, mica dorato.
“Nevermind” è il disco che agli appassionati della prima ora piace denigrare, sottolineandone l’eccessiva melodia rispetto alla purezza da calci nei denti e la fastidiosa sincerità di “In Utero”. “Nevermind” è il disco che quelli arrivati appena dopo sperano di riuscire a demolire, perché c’è la sensazione di essersi persi qualcosa: “Nevermind? No guarda, io avevo i Blink-182”. Ma lui rimane lì, come il semaforo nella nebbia postulato dal Guzzanti-Prodi. Fermo, immobile, ma, a differenza del professore, maestoso e bello. Bello come un bronzone di Riace che mica si vergogna.

Nel gennaio 1991: 300.000 copie a settimana di "Nevermind".
Nel gennaio 1991: 300.000 copie a settimana di "Nevermind".

Il mio amore vero e definitivo per il fatto-musica è tutto un debito nei confronti di “Nevermind”. Prima c’era stata altra roba, figurarsi, ma tutta robetta, in fin dei conti. Erano già passati per casa (o sotto al banco) i nastri di “Ten”, “Siamese Dream” e dello stesso “Nevermind”, ma non avevano attecchito alla prima botta. Doveva essere l’autunno del 1993 quando, a una festa di compleanno qualcuno ha messo sopra il disco nello stereo grosso del salotto, con gente già stravaccata a terra mezza bevuta. Solo in quel momento mi son concesso totalmente al riff che apre il disco, quello che ormai è meglio ammazzarsi che far finta di prendere sul serio. Ed è stata illuminazione, come mai più con nessun altro gruppo: quel livello di luce non è mai tornato.
Ora, però, la parola a chi ne sa per davvero: la recensione di “Nevermind” di Stephen Thomas Erlewine, da Allmusic.com.

nirvana_nevermind
Nevermind
was never meant to change the world, but you can never predict when the zeitgeist will hit, and Nirvana’s second album turned out to be the place where alternative rock crashed into the mainstream. This wasn’t entirely an accident, either, since Nirvana did sign with a major label, and they did release a record with a shiny surface, no matter how humongous the guitars sounded. And, yes, Nevermind is probably a little shinier than it should be, positively glistening with echo and fuzzbox distortion, especially when compared with the black-and-white murk of Bleach. This doesn’t discount the record, since it’s not only much harder than any mainstream rock of 1991, its character isn’t on the surface, it’s in the exhilaratingly raw music and haunting songs. Kurt Cobain‘s personal problems and subsequent suicide naturally deepen the dark undercurrents, but no matter how much anguish there is on Nevermind, it’s bracing because he exorcises those demons through his evocative wordplay and mangled screams — and because the band has a tremendous, unbridled power that transcends the pain, turning into pure catharsis. And that’s as key to the record’s success as Cobain‘s songwriting, since Krist Novoselic and Dave Grohl help turn this into music that is gripping, powerful, and even fun (and, really, there’s no other way to characterize “Territorial Pissings” or the surging “Breed”). In retrospect, Nevermind may seem a little too unassuming for its mythic status — it’s simply a great modern punk record — but even though it may no longer seem life-changing, it is certainly life-affirming, which may just be better.

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Nevermind may seem a little too unassuming for its mythic status — it’s simply a great modern punk record.

Be’ STE, mi pare un understatement. Il songwriting di Cobain è la chiave del disco. Che poi l’interpretazione sia una grande interpretazione punk rock moderna, ok. Ma i giri di accordi di Cobain ce li ha solo lui. Pensa che About a Girl, secondo lui, era “un tentativo di fare una canzone in stile beatles degli inizi”. Ed è venuto fuori About a Girl.

AK: pare che il tizio, però, si faccia fotografare così ogni sei mesi, provando ogni volta a inventarsi un nuovo anniversario per rivenderle e farci su qualche dollaro facile. La disperazione.

Ma va… non ci credo 🙂 C’è un sito.

Comunque sia ho curiosato un po’ sulla destra nella sezione “Un futuro migliore” e devo dire che concordo quasi su tutto 😉

Certo mi aspettavo di trovarci i Tool anche 😉 Quelli si che assicurerebbero un futuro migliore a tutti (è ironico… i testi dei Tool sono pessimisti in maniera disarmante).

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