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Sega: dal sogno all’incubo (senza ritorno)

Sega Dreamcast: B. 1998 D. 2001
Sega Dreamcast: B. 1998 - D. 2001

Domani sarebbe bello scrivere qualcosa sui Beatles. Qualcosa di poco stupido, almeno un po’ sentimentale e vagamente dotato di senso, nonostante la presenza-assenza di Babich incuta timore come un Pedobear in gita scolastica. Quindi, se proprio si deve fare qualcosa per quell’altro 09.09.09, quello che in una dimensione parallela sta assistendo al lancio del Dreamcast 2, allora meglio che succeda oggi. Perché il Dreamcast, quello uno, quello vecchio, di certo non merita più trombe e coriandoli della riedizione della discografia dei quattro di Liverpool e del relativo The Beatles: Rock Band.

Domani, quindi, saranno dieci gli anni passati dall’arrivo nei negozi statunitensi dell’ultima console a marchio Sega (in Giappone è successo un anno prima, all’incirca). Dieci anni passati pericolosamente? No, dieci anni passati a dimenticare, per quei due o tre sostenitori imperterriti del logo blu che fu e che, dal 2001, ha ingoiato tanto di quel fango da strozzarsi già dopo i primi sei mesi. Per sua scelta, oltretutto: incapace di vendere una console valida, perché è stata incapace di venderne tre “sbagliate” prima (Mega CD, 32X, Saturn), ha dovuto annullarsi e auto escludersi dalla partita. Per motivi di palese forza maggiore altrui e incompetenza propria. Incompetenza che, per amor di coerenza, manterrà nella gestione della rinnovata Sega, quella che, a pochi mesi dall’uscita di scena e dal rientro per la finestra di chi i giochi li fa per gli altri, sostiene di voler puntare ad almeno il secondo posto nel campionato dei publisher di videogiochi. Il primo spettava, all’epoca, a Electronic Arts, ora se lo è preso (lo ha forse riperso? Vai a sapere) Activision, non certo Sega. Che continua a tentarle tutte, tra cui l’acquisizione di marchi e team di sviluppo marcatamente occidentali, per arrivare là dove non è più riuscita ad arrivare dopo il Megadrive.

Un gioco per una console: Jet Set Radio (2000).
Un gioco per una console: Jet Set Radio (2000).

Ma i tre, lunghissimi, anni di Dreamcast che hanno fatto? E perché? Be’, qualcosa lo hanno fatto. Per un breve periodo, nella prima metà del 2000, pareva addirittura che le cose potessero prendere una piega decisamente più intrigante e ricca di arcobaleni per Sega: c’era un collegamento per giocare online con una tastiera a una sorta di MMORPG preistorico e ridotto (Phantasy Star Online, certo); c’era il sano, vecchio, classico spacca tutto che su Saturn aveva regalato un mezzo senso alla console nata rotta, ovvero il picchia duro 2D che fa bella figura (in questo caso Street Fighter III Qualcosa); c’era, addirittura, quel capolavoro di stile e gusto che è Jet Set Radio. C’era l’attesa per Metropolis Street Racer, cui la storia darà ragione quando cambierà nome e comprerà ben più pagine pubblicitarie. C’era la voglia di credere in Shenmue e il terrore di Suzuki ogni volta che si collegava al servizio di home banking.
Tutta roba che non può durare se poi devi andare a giocare coi grandi.
E ora, in via del tutto eccellentemente eccezionale, la voce a un po’ di gente che ha risposto al mio appello “dai, dì anche tu qualcosa sul Dreamcast!”. Andiamo in ordine di foto (da sinistra a destra):

bestie
“DreamCast, ancora incellophanato, a casa, rinchiuso in un armadio di cui probabilmente ho perso la chiave. Grande console, grande Jet Set Radio, grande memory card: sembrava di comporre il Gattiger quando inserivi il tamagotchi, ma l’idea era proprio figa. E poi c’era Soul Calibur, che aveva il suo bel perché. Ma io sono modaiolo, e il DreamCast non è mai stato una vera moda: comunicazione scadente, e poi non si “masdubbava” come le pleistescion, che avevano un parco software incredibile e quasi a costo zero, visto che si trovavano chili e chili di software in giro a due soldi, su ogni bancarella. Morto per assenza di pirateria? Potrebbe pure essere, pare plausibile.”
(Davide Tosini, sbaglia le valutazioni sulle pagine di The Games Machine)

“9/9/9 believe!”
(Fabio Bortolotti, apre le buste a Xbox Magazine Ufficiale)

“Credo che la cosa più giusta da dire in questa occasione è una citazione dal mitico articolo di EDGE sulla morte del DC, autore anonimo: “Il Dreamcast non è stato sconfitto dalla PlayStation 2, ma dall’idea che l’industry si era fatta della PlayStation 2” che, aggiungo io, si è rivelata ben lontana dalla realtà.”
(Carlo Barone, azzarda previsioni di vendita nel primo publisher mondiale di videogiochini)

“Amai: Space channel 5. Jet Set Radio vers. PAL (con tutta la robba in + dell’USA, ma col nome JAP). Amai Codename Veronica. Amai anche Sonic Adventure 2. Typing of the dead: ammazzare zombie scrivendo parole sulla tastiera mi ha insegnato a digitare. SOOOOOOOOUL CALIBUR, ma anche Dead or Alive 2. LA storia di tutti. Serve dire Rez? No, vero? Forse riuscii ad apprezzare perfino Cannon Spike di Capcom.Anche Daytona rifatto era super. Gli Offspring. Mi erano sembrati bravissimi, perche’ c’era crazy taxi.
Odiai: Chu Chu Rocket. Gioco online? Con quella latenza? Per un puzzle game? Baaah. Odiai i giochi troppo corti e troppo arcade. Odiai Power Stone 2 perche’ secondo me era meglio l’1. Odiai perfino crazy taxi 2… mappa della città brutta, tutto qui.
Ricordo: andare online sui canali di chat Dreamcast ufficiali Sega e chattare usando la tastiera attaccata con un accrocchio comprato su LIK SANG. (reazione del lettore :”oooh… LIK SANG.. non ci pensavo da anni” oppure “uh?”). Ricordo una tizia di nome Arale. Di nick insomma. Italiana. Lavorava per Sega come call center a Londra. Diceva che ero il secondo italiano a connettersi – il primo era il suo moroso. Fidanzata. Non chattai più.”
(Andrea Babich, cerca amore su Nintendo la Rivista Ufficiale)

Su Dreamcast ho giocato tanto a Crazy Taxi e a Daytona, anche un po’ a Space Channel Five. Ma ora basta con ‘ste cazzate e guardiamo al futuro: [segue elenco di giochi per Xbox 360/PS3/Wii in uscita da qui a fine anno, ndZave]
(Claudio Tradardi, ha 106.000 punti sul suo profilo Xbox 360)

0 risposte su “Sega: dal sogno all’incubo (senza ritorno)”

A tosi’, “morto per assenza di pirateria”? Il Dreamcast è la prima console che mandava i giochi pirata senza modifica alcuna. Li mettevi in download la sera e la mattina di sfornavi il tuo bel CD pronto pronto. Era il DolceForno DreamCast, praticamente. Non che io abbia mai fatto niente del genere, eh.
B.

Cioé, vuoi dire che li masterizzavi da un’immagine precisa e facevano, come dire… una sorta di autoboot? Utopia! Se l’avessi saputo allora… avrei potuto dirlo anche ai clienti di Kikkeria del Corso, pensa te!

Per quanto riportavano i giornali, i CD comprendevano già il codice di self-boot. Una modifica dentro il CD, in sostanza. Non solo: in teoria Sega si era affidata al supporto GD-ROM (capiente quasi un giga) per evitare la pirateria… solo che in realtà pochissimi giochi usavano tutto lo spazio, e i giochi pirata stavano benissimo su CD. I rari casi di giochi sovradimensionati? I pirati facevano il downsample dei filmati FMV (che non si notava, peraltro) e via.

B.

Uhm, mi pare strano… io ricordo che quasi tutti i giochi riempivano l’intero GD-ROM (lo so perché guardavo controluce gli originali e riconoscevo la porzione scritta). Se fosse come dicono questi giornali, dovrebbero tutti aver riempito in maniera fittizia e, ti dirò, addirittura pretestuosa il GD-ROM. “Non è vero, non può succedere, non ci posso credere” (Rosario Fiorello sul redivivo Bongiorno, poi redimorto).

Questo vorrebbe supporre l’esistenza di file fasulli usati per riempire i GD-ROM chiamati dummy file. Questo vorrebbe insinuare che Capcom fosse così babba all’epoca da mettere direttamente ai suoi file dummy il nome “dummy”, permettendo ai pirati di capire subito cosa eliminare per guadagnare spazio…
Ma sono le solite montature dei giornali videoludici cattocomunisti. Fu questa la ragione per cui Montanelli lasciò Zzap!, peraltro.

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