San Siro dà, San Siro toglie: e alla fine rimango con il dubbio di non aver capito come posizionare il concerto, prima delle due serate che gli U2 dedicano a Milano all’interno del loro 360° Tour. Durante i primi venti minuti è tutto un guardare fisso, interrogativo, con occhiate stupite a mio fratello e alla Signorina Lucia… c’è qualcosa che non va. A differenza dei Depeche Mode, questa volta siamo in alto: niente prato, terzo anello. Non per scelta, ma per obbligo (Ticketone, sto guardando te). Il clima è libero, felice e appassionato. Scomparsi i poveracci che hanno riempito il finto parterre di Gahan e soci solo per mirare a un po’ di materia prima facile, magari lanciando birre a cazzo un po’ ovunque, qua ci si deve sorbire al massimo una confraternita teutonica dedita alla pulizia-con-panno-igienizzato delle seggioline. Non capiamo, ma ci adeguiamo.
Lo shock, quello accennato prima, però rimane: “ehi, ma si sente da schifo!”. Ma tipo da schifo. Ma tipo troppo da schifo e in maniera troppo improbabile per essere un semplice problema strutturale dello stadio: la voce arriva ora nitida, ora velata, a tratti possente, altre volte ovattata. La stessa sensazione di quando un suono una voce vengono momentaneamente nascosti da un ostacolo, una finestra, una persona che passa. Non può essere. Misteriosamente, dopo i primi cinque o sei pezzi, la situazione migliora. E’ anche il tempo che gli U2 si sono dedicati per voler bene allo splendido “No Line On the Horizon”, che tiene a battesimo il concerto con le prime quattro canzoni.
Una scelta banale ma meno banale se sul palco ci sono gli U2: sarebbe credibile (e forse auspicabile) infilare almeno un classicone nel trittico di apertura, per accattivarsi subito i 77.000 accorsi a lanciare amore agli irlandesi. Invece no, scelta che si potrebbe promuovere come “coraggiosa”, ma che in fin dei conti (anche e soprattutto grazie ai disguidi tecnico-vocali di cui sopra) non paga e rende l’avvio più ingessato del previsto. Che peccato, le premesse erano state le migliori: quando i quattro percorrono la lunga passerella che li porta al centro del ragnone-palco sono estasiato e scosso più di quanto non immaginassi (d’altronde sono passati dodici anni [!] dalla prima e unica volta che li ho visti dal vivo…) e il primo pezzo è addirittura “Breathe”, una delle mie preferite in assoluto del nuovo album. Ma vabbé: passata la confusione iniziale le cose migliorano. Il primo cambio di passo arriva con “Beautiful Day”, che non adoro, ma che è proprio quella roba da stadio pieno che non gli puoi dire nulla. A meno che non sia stata preceduta dalla traduzione horribilis delle parole di Bono sul megaschermo centrale. Un italiano che definire stentato è assolutamente eufemistico: orrori ortografici, di battitura, di concetto e di grammatica si danno il cambio per tutta la serata. Perché? Perché diavolo infilare una roba simile, degna nemmeno del peggior Babelfish?
Fa nulla anche questa volta, anche se rende meno efficaci e convinte le urla di Vox a un mondo più giusto (e qualcuno, giustamente, avrà gradito l’ironico contrappasso). Il concerto, però. Che è quel che conta. Si dipana con agile amore nella zona centrale, tra tributi a Michael Jackson (grazie), un compleanno da festeggiare sotto la luce della deliziosa “Trash, Trampoline and the Party Girl”, l’efficacia di “In a Little While”, la bellissima “Unknown Caller” (che funziona anche meglio che su disco) e il tripudio di “The Unforgettable Fire”.
Con un’acustica sempre deficitaria, ma perlomeno accettabile, le due ore vanno a concludersi con un nuovo quesito esistenzial-musicale: perché cacchio tengono buona parte delle luci dello stadio accese? Non eravamo a un concerto? Pare di stare all’Esselunga… nulla che, però, riesca a togliere efficacia allo spettacolo del mega schermo che si apre come un alveare e raddoppia la dimensione verticale. Quel che serve per “City of Blinding Lights”, “Sunday Bloody Sunday” e “Pride (in the name of love)”. Ecco, qui si ricade nel dramma degli U2 e nel miracolo degli U2. Come sottolinea un esausto fratello: “è il terzo concerto degli U2 che vedo e non ho mai sentito Bono cantare ‘Pride’, la fa sempre lo stadio”. San Siro dà (epicità), San Siro toglie (carattere e unicità all’interpretazione). Si arriva alla fine del set principale con una “MLK” politicizzata (Burmini libero!), la possente “Walk On” e le immancabili (pure troppo) “Where the Streets Have no Name” e “One”.
Quando i quattro lasciano momentaneamente il palco è già tempo di bilanci: gli U2 sono ostaggi di loro stessi e della loro monumentale grandezza. Suonare in uno stadio come questo mortifica la voce di Bono e la classe degli altri tre. La scaletta quasi imbalsamata è bella quanto è prevedibile. Ma oggi il gruppo non potrebbe permettersi un palazzetto dello sport e una setlist più coraggiosa, a meno di non incorrere nelle ire dei fan e della critica (in parte si veda la questione del tour del ventennale degli Smashing Pumpkins, subissato di insulti dai giornalisti “che ne sanno”, ma è una questione lunga e spinosa e off-topic). Poi si torna a suonare, con la strepitosa, intramontabile, inimitabile, eccitante “Ultraviolet (Light my Way)”. Questa la sanno in pochi (almeno relativamente) e quindi lo stadio lascia che siano gli U2 a renderla immortale come merita. Il punto più alto della serata per il sottoscritto. Ultimi due lampi con “With or Without You” e “Moment of Surrender”. Prima del termine del blocco principale c’era anche stato spazio per un’interessante rilettura acida di “I’ll go Crazy If I don’t Go Crazy Tonight”, per l’occasione parente stretta di “MoFo”. Gran bella.
Due ore e spiccioli, il pubblico scema e la mia antipatia per lo stadio milanese in quanto sede di concerti è solo mitigata rispetto alla serata Depeche Mode. Neanche un pezzo da “Pop” o da “Zooropa”, solo l’eclatante “Ultraviolet” da “Achtung Baby”. Ma è perché così deve essere, almeno finché gli U2 non smetteranno (loro malgrado?) di essere gli U2.
La scaletta:
Breathe
No Line on the Horizon
Get on Your Boots
Magnificent
Beautiful Day
I Still Haven’t Found What I’m Looking For + Stand By Me
Angel Of Harlem
Trash, Trampoline and the Party Girl
In A Little While
Unknown Caller
The Unforgettable Fire
City Of Blinding Lights
Vertigo
I’ll Go Crazy If I Don’t Go Crazy Tonight
Sunday Bloody Sunday
Pride (In The Name Of Love)
MLK
Walk On
Where The Streets Have No Name
One
Encore:
Ultraviolet (Light My Way)
With Or Without You
Moment of Surrender
E ora il momento postumo della vergogna: “Trash, Trampoline and the Party Girl” viene suonata e dedicata a una ragazza salita sul palco. “E’ il suo compleanno”, dice Bono Vox e ammonisce “non è una ragazza timida”. Le offre anche dello champagne. Lei rimane piuttosto rigida, altro che le scene di isteria classiche di quando una femmina a caso viene trascinata per i capelli dal Papa Bono. Tra di noi si sprecano gli insulti e si moltiplicano le accuse di “figadilegnismo”. Poi, attraverso il Corriere di oggi, scopro che era Eva, sua figlia. Che evidentemente, Bono, lo conosce da un po’. Pardon.
8 risposte su “U2 ostaggi degli U2”
Ma come, non hanno fatto “Nel blu dipinto di blu”???
azz’ sono invecchiati da quel di Reggio Emilia…(ricordo bellissima “Miami” con cartoon ultra gore)
Spesso mi chiedo chi sia il cerebroleso assistente di turno che traduce/suggerisce frasi da dire/sceglie simpatiche situazioni da proporre per-far-vedere-che-si-siamo-stranieri-ma-sappiamo-in-che-paese-suoniamo.
I risultati sono al 99.9% pessimi, lo 0,01% è Mike Patton.
Grandissimo, sono commosso. Ero anche io a Reggio Emilia, di cui ho ricordi nettamente migliori (sono uno dei cinque a cui è piaciuto, e molto, Pop). Ti assegno 5 punti stima per Mike Patton. 😀
ahhh cosa mi sono persa….
Pensa alla tua Ibizia, peccatrice!
Stasera vado a vederli anche io dal terzo anello causa prevendita cialtrona di Ticketone.
Devo dire che il fatto di non poter andare nel prato comincia, a poche ore dal concerto, a darmi più fastidio del previsto.
Ieri, comodamente (nei limiti del possibile) piazzato al terzo anello, guardavo con un po’ di mestizia agli spazi piuttosto agili rimasti in zona prato a mezz’ora dall’inizio.
P.S. DRZ ha a che fare con un certo L.G.?
Fortunatamente alla fine, tramite serie di scambi con bagarini vari di fronte allo stadio, sono riuscito a procurarmi un posto nel prato sbolognando il mio terzo rosso (non faccio nemmeno il conto di quanto ci ho rimesso). Non ero vicinissimo al palco ma, vista l’imponenza della scenografia, direi che me la sono goduta comunque.
P.S. Sono io.
Ottimo. E ben ritrovato. 🙂