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Something’s in the Air

Godot e Duckel: il bianco e nero sfina.
Godot e Duckel: il bianco e nero sfina.

Vanno per i quaranta, i due degli Air: Amour, Imagination, Rêve. Nicolas Godin e Monsieur Duckel hanno finito di lavorare al quinto album della loro carriera da poco diventata ultradecennale e non è questo il tempo di tirare i remi in barca. In attesa che qualcuno di più attrezzato metta a disposizione dell’UniversoMondo “Love 2”, ci si può sbizzarrire cercando di intuire dove andranno a parare.
Per amor del fastidio, non dovrebbe rivelarsi un’impresa poi titanica: gli ultimi due album dei parigini (e dintorni) non si sono spostati poi un granché rispetto al punto di partenza, che è poi stato un recupero più accogliente, pre-riscaldato, pop e morbido à la “Moon Safari”

Mai visti gli Air dal vivo? Dovreste.
Mai visti gli Air dal vivo? Dovreste.

Evidentemente gli Air non si lasciano scivolare addosso critiche e punzecchiature, che, ai tempi della pubblicazione di “10.000Hz Legend” (2000) non erano certo mancati. Da lì, la voglia di approdare di nuovo a qualcosa di maggiormente confortevole e quindi due discreti dischi (“Talkie Walkie”, “Pocket Symphony”), tanta passione mista a mestiere e dei bei concerti in giro per il pianeta.
Il Pianeta Terra, che non è propriamente lo stesso da cui erano partiti. Con “Premiers Symptômes” (1997) si affacciano all’oblò retrospettivo del loro piccolo shuttle, infilato in un viaggio interstellare di cartapesta, avvolto nelle visioni siderali anni ’70. E già te li immagini, baguette e croissant sotto braccio (sì, pure il croissant), a muoversi agili tra le rue ciotolose quando, a dieci anni (sono entrambi del 1969), si affrettano per la prima de “Il tempo delle mele”. Sogni d’amore, buco della serratura e anche ultrasogni spazianti che nell’EP di cui sopra si tramutano in sinfonie da tasca che, oltre a meritare per maggiore coerenza il titolo del disco del 2007 e citazione del sempreverde B. Wilson,  stallano placide appena al di fuori dell’orbita terrestre. Gigioneggiano con abat-jour gialle dalla base esagerata, appoggiate su moquette dalle cromature improponibili oggigiorno, ma siamo negli anni ’70 degli Air e dei loro primi sintomi di una malattia che cambia di decennio con “Moon Safari”.

Secondo disco e ritorno nell'ombra.
Secondo disco e ritorno nell'ombra.

A un anno dalla pubblicazione dell’EP, che verrà ripresentato arricchito/potenziato nel 1999, i due si accaparrano gli occhi del mondo (o perlomeno quelli europei) con “Moon Safari”. Anzi, con “Sexy Boy”. Video in rotazione da nausea su MTV, immaginario tra il giocattolo e il fumetto, gli Air sono arrivati ufficialmente con una dose massiccia di lacca anni ’80, anche se sempre intenti a spingersi tra un pianetucolo e l’altro. Questa volta il razzo parte subito con la fiammata del basso di Godin e l’iniezione di tastierine “oldies but goldies” di “La Femme d’Argent”. Per tutti i 44 minuti dell’album, c’è una sovrapposizione di gusto seventies (e forse nemmeno) regalato proprio dai panorami offerti dalle tastiere, poi fatto risplendere da effetti sonori da filmetto alla Ed Wood di qualche secolo più giovane. Tutto in un quasi Star Trek, ugualmente finto e ugualmente bello carico di amore. Com’è, o come non è, senza colpo ferire nella traccia d’apertura di “Moon Safari” si sono inseriti battiti di mano, cori demoralizzati e una sezione ritmica inaspettata: è il manifesto del disco, che sa muoversi tra arrangiamenti poveri solo a un ascolto annoiato, ma che invece, giocando sulla precisione e dando senso e riflettori a ogni suono, riesce a creare atmosfere rarefatte e di goduria al 100%. E’ il disco degli anni ’70 che sono finiti, ma con ancora il tempo di dedicare due bei pensierini a Pong (vedi il video della strepitosa “Kelly Watch the Stars”). E’ il disco dei migliori pezzi ambient-a-due-lire/pop-tutta-la-vita come “All I Need” (già disponibile in pillole sull’EP del 1997, è “Les Professionels”) e “You Make it Easy”.

Servono mica dei Talkie Walkie?
Servono mica dei Talkie Walkie?

Il disco da cui, però, gli Air fuggono quando devono rimettersi al timone dei due lavori successivi: la colonna sonora de “Il Giardino delle Vergini Suicide” (“The Virgin Suicides” – 1999) e soprattutto il già accennato “10.000Hz Legend”. In quest’ultimo caso i due d’oltralpe provono a dimostrare al mondo che sì, faranno anche parte dell’esplosiva scena elettronica francese di fine millennio, ma che no, non se ne andranno tanto presto. Rigirano le carte in tavola e disfanno il letto che poi non ci puoi più dormire e che due palle il divano: la coesione e l’unità di intenti di “Moon Safari” viene messa da parte, a favore di una fase che, col senno di poi, è più che giusto definire sperimentale. In “10.000Hz Legend” gli Air ci mettono di tutto, girano col mestolone del negro africano che cucina l’esploratore e attendono il risultato. Che di sicuro è meno convincente di quello prodotto dall’episodio precedente, ma forse è anche solo questione di aspettative e gusti. Perché di episodi riusciti, in “10.000Hz Legend”, ce ne sono a bizzeffe (il rock sbrindellato e rallentato con ospitata di Beck di “The Vagabond”, la confessione filtrata di “How Does it Make You Feel”, l’incubo nipponico distorto di “Sex Born Poison”), così come sono altrettanti gli episodi genuinamente interessanti. Dall’essenziale lucidità di “Electronic Performers”, al ritorno ai sintomi di vecchia data con “Radian”, fino alle semplici perle di saggezza-Air (“Don’t be Light”, “Lucky and Unhappy”).
Il ritorno ad album più convenzionali è quindi un passo indietro, dal punto di vista creativo o anche, semplicemente, per l’interesse che riescono a instillare. “Talkie Walkie” e “Pocket Symphony” sono due  album fatti bene, a tratti davvero deliziosi, ma che non si prendono mai il lusso di navigare a vista, sempre con la loro cartina sottomano e il radar attivato.
Se sapessero ancora perdersi nella costellazione, gli Air, farebbero cosa gradita.

0 risposte su “Something’s in the Air”

Comincio ad avere eccessiva invidia per la tua giornata tipo. Ti svegli, bevi caffe’, vai in ufficio e fai un bel post sulla morte per cancro di patrick switzerland mangiando una ciambella. Poi, sicuramente con le cuffie a palla, in un delirio sociopatico, scrivi un altro post, chilometrico, sugli Air – un post molto fico, tipo che se lo camuffi da articolo, ti firmi Vignola e lo dai a Vanity F-Air ci tiri su un 400 euro minimo.

Domani Beatles Rock Band, all togheter, altro che air e francesate varie. Qua mi stai diventando troppo francioso, a quando un post su Michel Fugain?

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