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Zeros – 2001: Discovery (Daft Punk)

Gli anni del liceo (o della scuola superiore, in senso più largo), sono importanti. Quando non cerchi di prendere una strada e calarti dentro un costume per gli altri, lo fai almeno per te stesso. Insomma: si prendono delle decisioni, si fanno delle scelte, bisognavano. E quindi se decidi di essere rock, molto rock, come l’atmosfera dell’epoca permetteva ancora, oltretutto, allora poi è un po’ casino far finta di accorgersi che ci sia anche altro. Fortunatamente per me, non ho mai avuto sufficiente stima delle mie convinzioni per non ritenerle ampiamente modificabili cinque minuti dopo la formulazione. Insomma: va bene la nascita musicale a botte di Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Cure e quant’altro. Ma quella roba lì elettronica ce la fa, ce la fa per davvero. [Continua sul blogghe – clicca su “mostra post originale” qua sotto]

Discovery (Daft Punk - 2001)
Discovery (Daft Punk - 2001)

Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post.

Gli anni del liceo (o della scuola superiore, in senso più largo), sono importanti. Quando non cerchi di prendere una strada e calarti dentro un costume per gli altri, lo fai almeno per te stesso. Insomma: si prendono delle decisioni, si fanno delle scelte, bisognavano. E quindi se decidi di essere rock, molto rock, come l’atmosfera dell’epoca permetteva ancora, oltretutto, allora poi è un po’ casino far finta di accorgersi che ci sia anche altro. Fortunatamente per me, non ho mai avuto sufficiente stima delle mie convinzioni per non ritenerle ampiamente modificabili cinque minuti dopo la formulazione. Insomma: va bene la nascita musicale a botte di Nirvana, Pearl Jam, Smashing Pumpkins, Cure e quant’altro. Ma quella roba lì elettronica ce la fa, ce la fa per davvero.

Così, se negli ultimi anni scolastici ho speso volentieri qualche soldo per i dischi dei Chemical Brothers (che però erano molto più semplicemente club-tossici e trendy-cha-cha agli occhi di chiunque, per primo il sottoscritto), meno facile è stato accettare la grandezza di “Discovery” dopo un paio d’anni di lontananza dalle aule. Era il 2001 e “Discovery” non è il seguito che ti aspetti da “Homework” (1996). Per dirla coi termini fuori luogo del dorato mondo dei giochini: “Discovery” è un mod anni ’70 un po’ ’80 di “Homework”. Meno attuale, almeno all’apparenza. Più slegato dallo stesso mondo club-funkettone che era stato riversato nei solchi digitali del primo disco quasi costretto. Come a voler infilare tutte le, indiscutibili, capacità di Bangalter e Homem-Christo in un supporto limitato rispetto ai locali in cui i due appoggiavano le loro belle consolle. Bene, “Discovery” funziona come una macchina del tempo: sembra antico, quando esce. In realtà è talmente moderno che ha già anticipato la tendenza di quel ritorno ai temi e ai gusti patinati sixties che poi in molti andranno a riprendere. “Discovery” è un tema differente per la stessa cosa, ma con maggiore cognizione di causa verso il formato “musica vendibile”. Che tradotto vuol dire: tracce meno lunghe, maggiore (limitatamente allo stile e al caso) aderenza a una struttura pop e un primo impatto talmente leccato che nasconde alla perfezione la strepitosa, sfaccettata, ricchissima e profonda produzione e concezione che si cela dietro praticamente ogni pezzo.
Visto a caso, di fretta, ascoltando solo per qualche minuto la “One More Time” che apre il disco e che lo accompagna nel mondo in qualità di primo singolo, il dubbio è che… è che sia una tamarrata di quelle che non lasciano scampo. Invece, e per circa un’ora, i due francesi si muovono con genio e abilità cristalline tra il luccicoso (di paillette) e lo scintillante (di genio). La fusione delle canzoni è tale che la natura da disc-jokey consumata non viene mai tradita. La comunione d’intenti talmente smaccata che diventa un lungometraggio di quelli che vale la pena vedere (“Interstella 555”). C’è abbastanza hamburger da tenere sotto controllo le classifiche di gradimento trainate da MTV e sufficiente costine d’agnello da saziare chi ha palati più fini. Tutto quello che, in altre mani, potrebbe essere tamarro, indicibilmente zabaurdo, in “Discovery” si ammanta di fascino retrò, mai abbastanza spocchioso da venire a nausea, mai ingiustificato tanto da apparire pretestuoso.
Il miglior disco della libreria musicale Zavosa del 2001. La scoperta definitiva dei Daft Punk.

Gli altri classificati:
Ci metto solo “White Blood Cells” dei White Stripes, grandissimo disco. Probabilmente il migliore. Per il resto, un sacco di roba evitabile, più qualcosa di bello ma che poteva e doveva essere più bello (R.E.M. – “Reveal”, Dave Matthews Band – “Everyday”) e il divertissement degli Strokes (“This is it”). Anno davvero mediocre.

Daft Punk dal vivo.
Daft Punk dal vivo.

4 risposte su “Zeros – 2001: Discovery (Daft Punk)”

questo avrei voluto scriverlo io…
“non ho mai avuto sufficiente stima delle mie convinzioni per non ritenerle ampiamente modificabili cinque minuti dopo la formulazione”…
e pure a me piacciono chemical brothers e smashing pumpkins…AHAH!

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