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Zeros – 2003: Her Majesty (The Decemberists)

Her Majesty (The Decemberists - 2003)
Her Majesty (The Decemberists - 2003)

Intro: per la spiegazione del perché e del percome della peraltro deliziosa collana “Zeros”, si veda questo post. Per le puntate precedenti, cliccare qui.

Esiste la musica in costume e non è quella dei Kiss. Direttamente da Portland (OR), i Decemberists atterranno nel 2003 con il secondo LP di una carriera a quel punto già splendidamente avviata verso un futuro di nicchie dorate, destino promosso da “Castaways & Cutouts” appena un paio d’anni prima.
“Her Majesty” è uno di quegli album talmente arguti che anche il titolo andrebbe letto a modo suo: “Her Majesty, the Decemberists”. I 53 minuti e gli undici pezzi sono sufficientemente tematici da poter parlare a buon titolo di un album in costume. Sono le divise da guerra civile o quelle dei soldatini spazzatura della fanteria da prima guerra mondiale, con cui il rubicondo Colin Meloy (leader spiritual-propagandistico del gruppo) si presenta spesso e volentieri per le sessioni di foto ufficiali.

I Decemberists: sfigati dentro, strepitosi tutt'attorno.
I Decemberists: sfigati dentro, strepitosi tutt'attorno.

Tutto giustificato: i primi cinque minuti e rotti sono il disperato canto marinaio, la speranza finale di un menestrello vestito da Paperino, accompagnato solo dalla chitarra-grattuggia memore di un qualche film western. Almeno finché il cielo, pur di un bellissimo indaco notturno, si apre al suono di fisarmonica e incedere marziale della batteria. In un battito di ciglia i Decemberists hanno appena impostato con illuminante chiarezza quale sarà il tema, il metodo e il sapore di tutto il disco. Storie di un recente passato, musicate senza pacchianeria, ma arrangiate con intelligenza, delicatezza, profusione di particolari che arricchiscono e non appesantiscono, continuando a esplorare la stessa stanza millimetro dopo millimetro. Con un cerino, senza volgari riflettori.
E quando c’è anche spazio per le perfette canzoncine pop fischiettabili (“Billy Liar”), vuol dire che tutto si è infilato nel posto giusto: al contrario di Tetris, qua il bloccone di tetramini musicali mica scompare, ma rimane luminescente lì in mezzo, tra il leggiadro e il granitico. Permettendosi di dedicare una serenata neanche troppo convinta a Los Angeles. E trovatelo voi qualcuno, all’alba del ventunesimo secolo, pronto a dipingere la città degli angeli con una tale melodiosa e romantica decadenza, affettuosa e assai poco noir.
Trovatela voi un’altra pallosissima confessione sottoritmo che, come “The Gymnast, High Above the Ground”, riesce ad aprirsi come la ruota di un pavone alla fine: la batteria inizia a dettare il ritmo, la banda esplode in un morbido furore e Meloy continua a dipingere parole. Perché è anche questo che funziona nei Decemberists: è gente che due libri, nella vita, li ha letti. Il lessico utilizzato è affascinante, mai banale o inutilmente spocchioso. Semplicemente vibrante.
Già che siete col cerino in mano, trovatevi anche una fiaba scura come “The Chimney Sweep”, abile nel toccare tutte le corde con la sua violenza borotalcata. Eppure è roba brutta e violenta e triste e misera. Lì attorno potreste imbattervi senza neanche accorgervene in un manifesto di clamoroso egocentrismo e lampante abbandono della vita reale: “I Was Meant for the Stage”.
Se avete trovate tutto, siete passati per quel tunnel dell’amore in un museo di cere che è “Her Majesty”, tuttora quanto di meglio confezionato dai soldatini giocattolo di Portland. E il miglior disco del 2003.

Gli altri classificati:
Gran brutta annata, quella del 2003. Togli i White Stripes di “Elephant” (chepperò non è il miglior disco, ma quello dei mondiali postumi, e quindi ok), metti da parte anche i Radiohead del polpettone “Hail to the Thief” e rimangono i Baustelle col secondo disco. Che è il primo ma un filo meno bello. Gli Strokes con “Room on Fire”, che è la cosa migliore del mondo per almeno due giorni, poi basta. Gli Zwan da una botta e via col colpo dell’allegria (“Mary Star of the Sea”). Gli Eels di “Shootenanny!” che è troppo lungo, i Blur con “Think Tank” che ce la fa, ma anche lui perde un po’ la bussola e… e il secondo dei Black Rebel Motorcycle Club. Vittoria senza sforzi per “Her Majesty”.

0 risposte su “Zeros – 2003: Her Majesty (The Decemberists)”

Ricordo esattamente il momento in cui hai “scovato” questo album.
Allora c’era un pc fisso con monitor ciccio su un tavolo da cucina di viale Fulvio Testi e ci si baloccava con lo streaming a scrocco di sky su Fastweb.
O sbaglio?

Tieni ragione. Fortunatamente ti dimentichi il momento esatto in cui ho sentito per la prima volta una loro canzone. C’eri anche tu, ma è roba di cui vergognarsi. Quindi passeremo tutto sotto silenzio.

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